È a Roma nel quartiere di San Lorenzo, che ancora oggi porta i segni dei bombardamenti di guerra, che Giovanni Malagò presenta la sua candidatura alla presidenza «dell’Everest-Coni», come lo chiama lui. “Giovannino” (per gli amici; e “Megalò” per i detrattori) parla davanti a una platea attenta - incluso qualche presidente di federazione che si è schierato dalla sua parte - che lo ascolta in religioso silenzio, così da permettergli di spiegare i motivi che lo hanno convinto a scalare la vetta del palazzo della politica sportiva italiana in vista dell’elezione dell’erede di Petrucci del 19 febbraio.Sceglie un oratorio come palcoscenico, quello di San Tommaso Moro, perché fermamente convinto del fatto che proprio gli oratori «siano il punto di partenza dello sport, centri di aggregazione lontani anni luce da certi impomatati ambienti cui s’è adagiato nel corso degli anni il nostro sport». Alle sue spalle una schiera di persone che lo hanno coadiuvato nella scelta, a partire da Gianni Letta, che siede al fianco di Josefa Idem e Paola Protopapa, rappresentati “al femminile”; e davanti al patron della Virtus basket Claudio Toti, preso come esempio di imprenditore capace di andare avanti con le sue forze senza aspettare aiuti politici.Niente numeri, anche se a suo dire ne avrebbe potuti snocciolare a migliaia, e zero input per quel che concerne la lotta al doping nelle 52 pagine che documentano il programma di Malagò. Ne spiega il motivo in maniera schietta: «È superfluo che il presidente del Coni debba mostrarsi favorevole alla lotta al doping, sarebbe come chiedere a un poliziotto se è giusto che arresti un malvivente».«Un nuovo modello per lo sport», questo l’input del 53enne presidente della Canottieri Aniene, pronto a suddividere le specifiche della sua “agenda” in quattro fasi: sviluppo ed efficienza; collegialità e coinvolgimento; rappresentatività e territorio; trasparenza e comunicazione. Punti che ritiene fondamentali oggi ancor più di quando nel luglio 2012 sussurrò la sua candidatura. Oggi, più di allora, si dice convinto della scelta e, da affabulatore qual è, c’è da ammettere che è stato bravo a esporre i temi del suo discorso in un’ora e un quarto, domande di rito incluse, senza ripetersi e senza autoelogio. «Non può esserci sviluppo senza coinvolgimento e senza strategia, non può esistere creazione di valore senza collegialità e pianificazione», questo il primo incipit, raccontato senza fronzoli e con desiderio di managerialità, di cui lo sport ha bisogno. Malagò sottolinea «l’incongruenza della compartecipazione fra Coni e Coni servizi spa», poi puntato il dito nei confronti degli emolumenti dei presidenti federali, che «hanno responsabilità di ogni tipo, incluse quelle legali, e poi incamerano un gettone di presenza da 150 euro lordi al giorno per un massimo di 240 giorni da poter sfruttare: al lordo, poco più di 31mila euro l’anno, che arrivano dopo aver effettuato una procedura lunga ed estenuante». Malagò parla senza soluzione di continuità quando descrive il nuovo modello di gestione del Coni: «Punto sull’equa ripartizione delle risorse, l’implementazione degli strumenti di finanziamento, la capacità di attrazione dei capitali privati, la politica di adeguamento degli impianti». Dice che abbraccerà la meritocrazia, che vuole partire dalle basi cercando di invertire i ruoli perché «chi ne usufruisce è padrone del Coni, e non chi lo comanda». E ancora: «Il Coni prende 411 milioni di euro dallo Stato: usciamo dall’ipocrisia, quando tutto è finanziato non c’è autonomia. Lo stato finora si è comportato bene. Ma si può portare avanti un progetto quadriennale con questi presupposti? No, e allora bisogna coinvolgere i privati, Lo sport è uno dei settori in cui i giovani possono sperare di trovare lavoro». Questi i principali punti del discorso. E una promessa: darà meno importanza al calcio per offrirla alle altre discipline. Perchè «il Coni deve diventare come un palazzo di cristallo: trasparente, esemplare, aperto e partecipato. E deve esserci un adozione del bilancio sociale oltre a una struttura dedicata alla comunicazione delle federazioni, delle discipline associate e degli Enti di promozione».