Era la sua notte, da ospite senza livrea. Ibrahimovic contro l’Inter, Eto’o contro il Barça. Lo scontro di titani che doveva assegnare la palma di vincente ai due figliol prodighi più famosi d’Europa. Dalla montagna è uscito un topolino spaurito come in quelle partite a scacchi, in cui nessuno si decide a fare una mossa azzardata e la parità è l’unica soluzione possibile. Giusto un paio di sussulti, in gran parte prodotti dal genio di Messi, tanto per fare il solletico alle difese. Keita, su assist al bacio dell’argentino, sparacchia fuori un tiraccio, quasi un rigore in movimento, con Julio Cesar fuori dai pali. Milito affonda un destro centrale che non sorprende Valdes. Stankovic carica il destro a volo a inizio ripresa, palla alta di un soffio. Poi tocca di mano in area, ma l’arbitro non vede il rigore per gli spagnoli. Taccuini bianchi, null’altro da segnalare.Si aspettava i fischi lo zingaro Ibrahimovic che ha voltato le spalle a papà Moratti perché vincere è bello, ma farlo in Europa è meglio. E bordate assordanti sono arrivate sulle spalle larghe di Zlatan sin dal riscaldamento. Fischi d’amore, direbbe il patron nerazzurro che vede il buono in ogni cosa. Se ne va Ibrahimovic con un punto che accontenta Guardiola solo perché muove la classifica. Perché l’impressione è che se il Barça avesse voluto spingere davvero avrebbe raccolto molto di più. L’Inter ferma sulle gambe, ha lasciato fare. Meglio non prenderle.I numeri del calcio dicono che nella scorsa stagione in otto partite di Champions (sei del girone e due negli ottavi contro il Manchester) Ibra ha messo dentro un solo pallone. Cambiando casacca, dal nerazzurro all’arancio fosforescente del Barcellona, il risultato (per ora) non cambia. L’Europa non pare essere il suo pane. I numeri dicevano pure che Samuel Eto’o nell’ultima Coppa, di gol ne ha infilati cinque (uno decisivo nella finale di Roma), in 5 anni al Barça fanno 17. Non sarà il falco Inzaghi, ma è uno che sa farsi rispettare. Almeno per una sera invece sono andati tutti e due in bianco. Ibra ci ha provato giusto un paio di volte, tra le maglie spesso troppo larghe dei nerazzurri. Guardandosi però bene dall’affondare il colpo. Eto’o ha restituito il favore: marcato a vista dal mastino Puyol, non ha mai trovato il pertugio giusto. E ha finito per togliere spazio a Milito che nell’anno d’oro del Genoa aveva una squadra che giocava tutta per lui e puntava l’area a testa bassa: oggi è costretto a macinare chilometri e allargarsi su entrambe le fasce a recuperar palloni. E fortuna che almeno lui lo fa perché nel centrocampo nerazzurro c’è più di uno che batte la fiacca. Muntari ha combinato un paio di pasticciacci, Thiago Motta è ancora ben lontano dal prendere in mano le redini del comando. Insomma di pesci grossi da Pallone d’Oro ieri a San Siro se n’è visto solo uno: Lionel Messi. Veloce di piede e di pensiero, mai una palla buttata via senza un perché. In due occasioni ha tagliato a fette la difesa nerazzurra e buon per Mourinho che in una di queste Chivu, ultimo baluardo davanti a Julio Cesar, abbia alzato il muro sull’incursione dell’argentino.Il Barcellona è una scuola di calcio, aveva ammonito alla vigilia Mourinho. All’esame di teoria i catalani danno punti a tutti. Guardiola, che in grande economia mette in tasca 1,5 milioni di euro a stagione (contro gli undici di Mourinho), predica un calcio pratico, palla bassa, gran movimento. Peccato per lui che non ci sia uno che si prende la briga di scaricare la fionda. O forse nella serata dei ritorni eccellenti, un punto andava benissimo a tutti. Il girone, con la Dinamo Kiev di Shevchenko e i russi del Kazan, è in discesa. Basta svegliarsi, perché con quello che si è visto ieri si fa poco. Ibra, ospite senza livrea, esce quasi come un amicone. Anche il loggione non fischia più...