Pyeongchang. Le Paralimpiadi invernali al via. Parla il portabandiera azzurro Planker
Florian Planker, 41 anni, hockeista su slittino e portabandiera dell'Italia ai Giochi Paralimpici 2018 di Pyeongchang
Quando ha ricevuto il vessillo tricolore dalle mani del Presidente Mattarella l’emozione lo ha assalito («Non mi aspettavo di dover parlare davanti alle telecamere, è stata una giornata da ricordare»), eppure sin da quando è stato nominato alfiere italiano per le Paralimpiadi di Pyeongchang, il quarantenne altoatesino Florian Planker, si è calato nel ruolo di messaggero di un nuovo annuncio di speranza: «Attraverso lo sport la vita può ricominciare anche dopo incidenti terribili».
In passato sciatore, oggi hockeista, in Corea del Sud sarà per la sesta volta ai Giochi. Se i miti italiani dello sport estivo paralimpico sono Alex Zanardi e Bebe Vio, d’inverno il team azzurro è alla ricerca di simboli: Florian è uno di questi. Classe 1977, figlio di albergatori di Selva di Val Gardena, Planker gioca a hockey su ghiaccio sin da bambino. La sua scalata nelle categorie giovanili prosegue fino ai 17 anni, quando in seguito a un incidente in moto subisce l’amputazione della gamba sinistra sopra il ginocchio. Poteva essere la fine, invece è stato l’inizio.
Anziché scrivere la pagina conclusiva della carriera da hockeista, Florian ha vergato la cartella introduttiva della nuova vita da atleta paralimpico. «Nel centro di riabilitazione in Austria ho conosciuto un fisioterapista che mi ha presentato il presidente del gruppo sportivo disabili dell’Alto Adige. Da lì mi si è aperto un nuovo mondo. Ho frequentato un corso di sci per disabili e mi sono iscritto al club locale. Nel 1997 sono approdato nella squadra nazionale». Un anno più tardi, a Nagano in Giappone, la prima avventura alle Paralimpiadi invernali nello sci alpino, disciplina dove a Salt Lake City 2002 si è rivestito di bronzo nel superG. A Torino 2006 ha voluto esserci a tutti i costi, sebbene reduce da un infortunio: quella casalinga è stata l’ultima Paralimpiade da sciatore.
«Nel 2007 abbiamo deciso di formare la prima squadra italiana di hockey su slittino, quello che una volta era definito sledge hockey e oggi para ice hockey. Per due anni ho continuato anche a gareggiare nello sci, poi in vista di Vancouver 2010 ho lasciato definitivamente la neve, preferendo il ghiaccio». Scelta che ha pagato. Dal nulla Florian e compagni hanno messo su una squadra capace di essere sesta in Canada, prima all’Europeo 2011 in Svezia e settima ai Giochi di Sochi 2014.
A marzo a Pyeongchang l’obiettivo non dichiarato è l’assalto al podio: «I russi non saranno in gara, perciò dietro le imbattibili Canada e Stati Uniti, potremmo giocarcela con Norvegia e Corea». Come dire, Davide contro Golia, giacché il movimento italiano è davvero ridotto: tre club tra Bolzano, Varese e Torino e una quarantina di praticanti. «Nonostante ciò all’ultimo Mondiale siamo stati quinti precedendo nazioni dalla grande tradizione come Svezia, Germania e Repubblica Ceca».
Non solo giocatore, Florian è anche un ambasciatore del suo sport: «Da anni giro per le scuole o per le parrocchie a raccontare la mia esperienza. Molti genitori con figli disabili mi scrivono perché vogliono incontrarmi. Da un po’ di tempo nel nostro club abbiamo accolto anche una ragazza, la prima in Alto Adige».
Se alle Paralimpiadi estive il raccolto italiano è nutrito, alle invernali la situazione cambia: quattro anni fa da Sochi gli azzurri tornarono a mani vuote. «Nello sci abbiamo pagato il ricambio generazionale, perché dopo Vancouver i veterani hanno smesso. In Corea sarà difficile salire sul podio, oltre alla nostra squadra stanno crescendo i ragazzi del parasnowboard e dello sci per non vedenti».
In Italia è già difficile praticare uno sport paralimpico estivo, figuriamoci una disciplina invernale. Spesso si comincia con l’atletica o il basket in carrozzina e si approda alla neve o al ghiaccio in un secondo momento: «Oltre all’assenza di impianti scontiamo anche problemi di comunicazione. Molte famiglie con figli disabili non sanno che potrebbero iscriverli a corsi di sport. Da un lato le istituzioni potrebbero fare di più, per pubblicizzare le nostre iniziative, ma dall’altro la battaglia campale è nelle scuole: è lì che bisogna invogliare i ragazzi disabili a praticare uno sport». Dopo il boom estivo di Rio 2016 il ritorno di visibilità è stato notevole: «Tante Onlus ci hanno contattato per conoscere la nostra attività, ma per allargare la base occorre sforzarsi nel reclutamento».
Quella di talentscout potrebbe la nuova missione di Florian: «Dopo Pyeongchang non smetterò di giocare, ma ridurrò i ritmi per dedicarmi di più alla ricerca di giovani atleti paralimpici e all’insegnamento dell’hockey o dello sci. Per invogliare i disabili a cominciare a giocare oltre ad allestire stand in fiere o nelle giornate dello sport punteremo anche su testimonianze di sportivi normodotati». Parola di un atleta che parla già da manager. Florian, marito di Helina e papà di Jana, lavora in banca a Bolzano e tutti i giorni va avanti e indietro dalla Val Gardena al capoluogo. Per essere ai Giochi paralimpici (da domani al 18 marzo) prenderà le ferie: la medaglia vale più della vacanza.