«Non mi sarei mai azzardato a fare un ritratto di Gesù. Quello che ho cercato di fare, molto più modestamente, è il ritratto di uno dei suoi ritrattisti ufficiali: l’evangelista Luca». Mentre rivela in anteprima l’argomento del suo prossimo libro, Emmanuel Carrère cerca quasi di giustificarsi, sostenendo di essere da sempre affascinato dal Cristianesimo perché ha segnato l’inizio della nostra civiltà. Con
Le Royaume, appena uscito in Francia per le edizioni Pol e in traduzione italiana per Adelphi nella prossima primavera, Carrère svolge un’inchiesta sulla nascita del cristianesimo, ambientata tra la Grecia, Gerusalemme e Roma, dall’anno 50 all’anno 100. Lo fa partendo dai quattro evangelisti, cercando d’immaginare chi erano, cosa pensavano e perché cominciarono le loro rappresentazioni della vita di Gesù Cristo. Da non credente, si interroga sulla fede cristiana. Com’è nata? Come si è arrivati a credere? E com’è stato possibile accettare il prodigio della resurrezione? Un lungo percorso che lo vede soffermarsi in particolare sulla figura di Luca, in una biografia che è giocoforza in gran parte immaginaria, data la scarsità di documenti e fonti storiografiche attendibili. Un metodo che aveva già adottato in altre sue opere precedenti - per esempio nel fortunatissimo
Limonov -, nel quale mescola i fatti storici alle sue riflessioni, ai suoi ricordi e ad aneddoti personali. Il risultato è un ponderoso volume di circa 640 pagine che è già una delle uscite più rilevanti della nuova stagione letteraria.
Carrère, com’è nata quest’opera?«È stato un processo assai lungo cominciato circa vent’anni fa, quando ho iniziato a leggere documenti, volumi, saggi. Nello stesso periodo ho anche lavorato insieme ad altri scrittori francesi a una traduzione della Bibbia.
Le Royaume è il libro al quale lavoravo ogni volta che concludevo qualcos’altro e che ha infatti richiesto lunghe riflessioni. Sette anni fa infine, ho cominciato a scriverlo e negli ultimi tre anni l’ho terminato. Si tratta senza dubbio del lavoro più lungo della mia vita».
Gran parte dei suoi libri sono introspettivi, incentrati sulla riflessione intorno al nesso fra realtà e immaginazione. Perché, tra tutti gli evangelisti, ha deciso di soffermarsi proprio sulla figura di Luca?«Perché su di lui non si sa quasi niente di certo, e quindi ho dovuto lavorare soprattutto con l’immaginazione. San Luca non conobbe Gesù e non fu testimone oculare dei fatti che racconta. Scrive cinquant’anni dopo la morte del protagonista, e dice con chiarezza che il suo racconto è di seconda o terza mano. È l’unico, tra gli evangelisti, ad affermare di aver svolto un’inchiesta, ad aver quindi riunito tutte le informazioni che gli è stato possibile raccogliere, a fornire dettagli precisi e a verificarli. Io ho cercato di fare come lui, di fare cioè un’inchiesta su questa inchiesta. Il mio libro è ricco di ipotesi e congetture, è una via di mezzo tra il romanzo e la storia».
Dunque anche lei, come Italo Calvino, sostiene che l’immaginazione sia indispensabile all’uomo per comprendere il reale in tutte le sue possibili manifestazioni?«Certo. Finora, i miei libri non sono stati quasi mai opere di finzione ma d’inchiesta, e infatti ho sempre cercato di ridurre al minimo il contributo dell’immaginazione. Ma in
Le Royaume c’è inevitabilmente una parte immaginata assai consistente, dato che san Luca è vissuto diciannove secoli fa e sulla sua vita non sappiamo quasi nulla. Mi sono chiesto a lungo come fare un romanzo storico che non suonasse troppo falso. Ho riletto i capolavori del genere, a partire da
Le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Se mi dovessi paragonare a un pittore, potrei dire che nel caso del dissidente russo Limonov ho potuto disporre del modello, nel caso di san Luca ovviamente no. Quasi niente è certo, ma è più o meno quasi sempre così quando ti ritrovi a scrivere una biografia postuma. Ci sono personaggi che sono stati raffigurati dai pittori soltanto con l’ausilio dell’immaginazione. E credo che dal punto di vista di chi guarda, anche se non lo sa, lo sente, lo percepisce».
A chi somiglia il suo san Luca?«Somiglia a me stesso. Sotto le sue sembianze ho dipinto me stesso. Potrei quasi dire, come disse Flaubert di Madame Bovary, "Luca sono io". È probabile che quello che ho raffigurato non somigli al vero san Luca. Ma nessuno sa a cosa somigliasse il vero san Luca».