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Anniversario. In viaggio con Conrad alle origini del male

Roberto Carnero venerdì 2 agosto 2024

Joseph Conrad

Moriva cent’anni fa, il 3 agosto 1924 a Bishopsbourne (nel Kent), Joseph Conrad, uno degli scrittori più originali dell’epoca a cavallo tra i due secoli. Era nato nel 1857 a Bardicev, in Ucraina, da una famiglia polacca (il suo vero nome era Teodor Józef Konrad Korzeniowski): il padre era un patriota e uomo di lettere, esiliato dalla madrepatria per motivi politici. A 12 anni rimane orfano di entrambi i genitori, e viene affidato alle cure di uno zio materno. Lettore, sin dall’adolescenza, dei classici inglesi, da Shakespeare a Dickens (che inizialmente avvicina in traduzioni in polacco), a 17 anni si imbarca a Marsiglia come semplice mozzo su una nave francese, navigando, negli anni successivi, su navi prima francesi e poi inglesi.

Nel 1886 consegue il brevetto di capitano e contemporaneamente acquisisce la cittadinanza britannica. Prima come terzo ufficiale, poi come capitano comandante di una nave del British Merchant Service, ha modo di percorrere tutti i mari e di toccare innumerevoli porti, specialmente in Asia, Oceania, Africa e Sud America. Questa esperienza gli dà la possibilità di compiere prolungate osservazioni di luoghi, fenomeni naturali, persone, abitudini, costumi, culture. Si tratta di un bacino di materiali a cui in seguito attingerà a piene mani per la sua produzione letteraria. L’intensità di questa formazione da autodidatta compenserà abbondantemente l’assenza di studi regolari.

Il suo primo libro, La follia di Almayer, data al 1895 (l’anno prima l’autore aveva abbandonato il mare, stabilendosi definitivamente in Inghilterra): subito i critici riconoscono in quel romanzo l’esordio di un vero scrittore. Conrad scriveva in inglese, che non era la sua lingua madre: un idioma mai pienamente padroneggiato nella comunicazione orale, ma compiutamente cesellato sulla pagina scritta. Conrad è stato un autore molto prolifico. Limitandoci qui alle opere maggiori, possiamo ricordare Lord Jim (1900), Cuore di tenebra (1902), Nostromo (1904), L’agente segreto (1907), Sotto gli occhi dell’Occidente (1911), La linea d’ombra (1917).

Tra questi, Cuore di tenebra è forse il libro più emblematico della poetica conradiana. Il libro narra il viaggio di Marlow (il personaggio a cui Conrad presta i propri connotati autobiografici) su un battello destinato al commercio nell’Africa nera. Un percorso ricco di inquietudine, soprattutto in relazione a un oscuro commerciante di avorio di nome Kurtz, del quale da tempo non si hanno più notizie e che Marlow ha l’incarico di cercare. Lo troverà trasformato in selvaggio, idolatrato dalle tribù locali come una divinità. In lui sono venuti meno i freni inibitori della civiltà occidentale a cui appartiene ed egli si è lasciato andare ai comportamenti più abominevoli. Ma al di là del fatto in sé, un orrore impalpabile ma reale, ancora più inquietante perché non si riesce ad attribuirgli connotati precisi e neppure la realtà di un particolare oggetto o di una specifica essenza, pervade tutta la narrazione.

In questo come negli altri romanzi di Conrad, c’è un realismo che è da un lato sostanziale (non si può negare la precisione e talora persino la crudezza di alcune scene), ma che dall’altro rimanda a un diverso orizzonte di senso. Perché ciò che conta nei suoi libri è la sottile trama simbolica che si stabilisce tra persone ed eventi, tutti dominati da una cappa di mistero che non consente agli individui di esprimere liberamente la propria volontà, soggetti come sono a un ineluttabile destino. Da qui una visione pessimistica e fatalistica della realtà e della vita umana, in cui a farla da padrone sono il caso e la necessità, forze che sfuggono al controllo razionale degli uomini, i quali ne risultano vinti. Anche la natura, a sua volta, viene spesso rappresentata come un fondale e insieme una protagonista partecipe del dramma delle persone. Erano, quelli in cui Conrad scriveva, gli anni nei quali Freud andava compiendo la sua “scoperta” dell’inconscio, e più di un critico ha voluto attribuire ai simboli presenti nei romandi conradiani una valenza psicanalitica: per esempio, in Cuore di tenebra, l’acqua, la nave, la foresta sono tutte presenze che si prestano a una simile interpretazione.

Sul piano storico-letterario, se Conrad ha un merito, esso è quello di avere trasformato il romanzo d’avventura da genere d’evasione in letteratura alta. Le trame dei suoi romanzi si basano spesso su strutture archetipiche (come quelle di tante favole): ricorrono viaggi che sono occasioni per compiere una ricerca, per superare delle prove, per conseguire una iniziazione. C’è poi, oltre a quella esistenziale, la dimensione politica. Il viaggio verso mondi altri, come l’Africa e l’Oriente, ponendo il viaggiatore europeo di fronte a modi di vivere e di pensare completamente diversi da quelli occidentali, gli fa percepire tutta la relatività e la sostanziale vacuità di questi ultimi, mettendo così in crisi la legittimazione morale su cui si basava l’ideologia imperiale dell’Inghilterra vittoriana, ma anche degli altri maggiori Stati europei. Marlow, giunto in Africa, constata gli effetti brutali di una colonizzazione che, anziché portare progresso come la propaganda del tempo sosteneva, vi aveva immesso violenza e devastazione.

Ma se per questo gli studiosi hanno per lo più insistito sulla posizione anticolonialista di Conrad, non sono mancate voci dissenzienti. Come quella dello scrittore nigeriano Chinua Achebe, che, in un suo saggio del 1977, ha accusato Conrad di facile esotismo e persino di razzismo (definendolo letteralmente «a thoroughgoing racist», un completo razzista). Sono le contraddizioni degli autori complessi, e perciò dotati di un margine di ambiguità che ne impedisce una interpretazione univoca. Non a caso Cuore di tenebra ha ispirato Thomas Stearns Eliot per il poema La terra desolata (1922) e Francis Ford Coppola per il film Apocalypse Now (1979): opere a loro volta caratterizzate da una sostanziale polisemia e per questo suscettibili di diverse letture.