Letteratura. In versi e in prosa, il mondo lirico di Raymond Carver secondo Spadaro
Lo scrittore americano Raymond Carver (1938–1988)
La voce iniziò a circolare verso la metà degli anni Novanta: alla Civiltà Cattolica è arrivato questo gesuita imprevedibile, un giovane siciliano che legge Tondelli e i minimalisti, ascolta il rock e ama il cinema americano. Da lì a qualche tempo, inoltre, avrebbe cominciato a interessarsi alla relazione fra teologia e digitale. Pochi sarebbero stati in grado di prevedere che nel 2011 padre Antonio Spadaro (messinese, classe 1966) avrebbe assunto la direzione della rivista su cui, trentenne o poco più, aveva pubblicato articoli sulla poesia di Emily Dickinson e sui romanzi di Flannery O’Connor. Riconosciuto come uno degli interpreti più autorevoli del magistero di papa Francesco, padre Spadaro non ha mai rinnegato la matrice letteraria della sua formazione. Un tratto, questo, che avvicina ulteriormente la sua biografia spirituale e intellettuale a quella di Jorge Mario Bergoglio, per il quale il racconto rappresenta una delle forme originarie dell’esperienza cristiana. Possono cambiare le situazioni e le condizioni, ma la dimensione narrativa è irrinunciabile nella vita di fede, come lo stesso Spadaro ha ricordato in una serie di libri che comprende A che cosa “serve” la letteratura? (2002), Abitare nella possibilità (2008), L’altro fuoco (2009) e Svolta di respiro (2010). «Mi chiedono come mai ho deciso di occuparmi d’altro – diceva nella fase più intensa dell’impegno nella cyberteologia – ma la mia sensazione non è questa: a me sembra di continuare a fare quello che ho sempre fatto». Sono parole che tornano in mente durante la lettura di Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Carver (Ares, pagine 192, euro 13,50), riedizione aggiornata di una delle prime prove saggistiche di Spadaro, inizialmente uscita dal Messaggero di Padova nel 2001 con il titolo Carver. Un’acuta sensazione di attesa.
Il gesuita padre Antonio Spadaro - .
Vent’anni esatti, o quasi, separano le due pubblicazioni e in quest’intervallo corre la differenza fra l’ingresso nell’età adulta e la maturità, secondo la sottolineatura operata da Spadaro nella nuova premessa al volume, suggestivamente intitolata È arrivata la tigre? Si tratta di un’allusione a una poesia di Carver, che anche in Italia rimane più noto come narratore, ma la cui produzione in versi non risulta meno ampia, né meno significativa. Nato in Oregon nel 1938 e morto nello Stato di Washington nel 1988, a soli cinquant’anni, Carver è un autore la cui complessità sembra crescere nel tempo, prestandosi a una molteplicità di letture che l’analisi di Spadaro ripercorre in modo molto convincente. In particolare, i due racconti che lo stesso Carver affermava di prediligere – Cattedrale e Una piccola, buona cosa– sono attraversati da un sentimento di finitudine e da un’attesa di redenzione che assume un’evidenza pressoché sacramentale. Spadaro (che durante le sue ricerche si è confrontato con la vedova dello scrittore, la poetessa Tess Gallagher) ha il merito di non prevaricare mai il testo. Semmai, ne indaga con intelligenza la stratificazione, intervenendo in maniera molto equilibrata anche a proposito della dibattuta questione dei rapporti fra Carver e il suo editor Gordon Lish, responsabile di una radicale revisione di racconti poi divenuti celebri. Con particolare finezza, inoltre, è messo in risalto il legame strettissimo tra una prosa che tocca non di rado vette di intensità lirica e una poesia che, analogamente, si caratterizza per il suo andamento narrativo. Come già accennato, è dai versi di Carver che balza fuori la tigre simbolo di compiutezza e di consapevolezza. Ed è ancora su una poesia, l’ultima composta da Carver prima della morte, che Spadaro si concentra nel conclusivo racconto fotografico, cronaca di una visita sulla tomba dello scrittore all’Ocean View Cemetery di Port Angeles. C’è di mezzo un dettaglio, una lettera che manca e che, mancando, cambia il senso alla parola. Del resto, era proprio Carver a sostenere che la scrittura, non diversamente dalla lettura, «è un processo, non una posizione stabile».