Il romanzo. Labatut narra von Neumann, dall'atomica all'ossessione per i giochi e l'IA
Il matematico, fisico e informatico americano di origine ungherese John von Neumann (1903–1957)
Tre indizi fanno una prova? Non è detto. Bastano a formulare un atto di accusa? Forse. Tre generi diversi quest’anno si sono presi la scena culturale. In sequenza: il film di Nolan Oppenheimer; Stella Maris, l’ultimo romanzo – ultimo in tutti i sensi – di Cormac McCarthy; e Maniac dello scrittore cileno Benjamín Labatut (Adelphi, pagine 361, euro 20,00). Cos’hanno in comune questi tre titoli? Riguardano figure importanti della scienza e della matematica. Della razionalità. Labatut, che era già intervenuto sul tema con il suo Quando abbiamo smesso di capire il mondo, sempre per i caratteri di Adelphi, ci presenta una sorta di biografia allargata di John von Neumann, il matematico di origini ungheresi che contribuì alla concezione e costruzione della bomba atomica; che non si fermò, come Oppenheimer, di fronte al proliferare delle armi atomiche e che anzi le promosse insieme al fisico Edward Teller, anch’esso ungherese, e, di più, costruì l’impalcatura teorica della “teoria dei giochi” che permise il fragile equilibrio del confronto nucleare tra le potenze occidentali e la Russia sovietica.
Basta così? No, al cuore del libro di Labatut c’è anche la costruzione del computer “Maniac”, il vero parco di divertimenti di von Neumann. Un parco condiviso, inizialmente con un bizzarro personaggio, Nils Aall Barricelli, nel quale pezzi di quella che ora chiamiamo Intelligenza Artificiale si combinano con la psicopatia e il deterioramento del senso della realtà che molti degli scienziati che parlano nel libro denunciano più o meno consapevolmente. Il racconto prende forma dalla testimonianza di amici e collaboratori di von Neumann. Sono voci che raccontano, osservano, valutano. Come se von Neumann di per sé stesso non fosse in grado di farlo e, soprattutto, non se ne potesse dare una descrizione da quell’esterno forzatamente oggettivo che è la ricostruzione storica del suo lavoro. Come se per entrare nel suo mondo occorresse forzarlo attraverso il linguaggio di chi ha collaborato con lui e la sua straordinaria mente. È un’intuizione narrativa molto efficace che indica un problema, forse il problema della scienza contemporanea, quello dei fantasmi da cui prende, in molti casi, l’avvio; tra i quali prende forma e con i quali alla fine parla e discute e dà forma al mondo. Per la verità girano per le pagine del libro, muti, come si conviene ai veri reggitori del mondo, personaggi di una realtà ancor più inquietante: i militari, l’esercito che costruisce sugli algoritmi forniti dalla mente di von Neumann le sue armi, la sua Potenza. Gli ultimi giorni della vita del grande matematico sono circondati dalla paura che dal suo delirio possa uscir fuori qualche segreto, qualche formula in grado di raggiungere il nemico.
Il racconto scorre e sfocia nell’ultima parte dedicata al confronto, ormai di questi giorni, tra le residue capacità intellettive dell’uomo e quelle dei computer che ospitano, dandole la vita che merita, l’Intelligenza Artificiale. Il terreno di lotta è il gioco, una delle attività più umane e umanizzanti che la specie abbia manifestato nella sua storia. Prima gli scacchi, facilmente affrontabili e dominabili dall’IA; poi il Go, gioco orientale, una vera e propria visione del mondo e della guerra. Anche in questo ultimo caso l’IA ha di gran lunga la meglio sul giocatore umano. Quello di Labatut è un racconto corale, nel quale la sofferenza, il capriccio, la mancanza di coscienza etica dello scienziato, incapace di valutare gli effetti del proprio lavoro, appaiono come la vera incompletezza dei teoremi che la sua mente formula con la facilità con cui respira. Essere come dèi, governare con i loro stessi capricci, con la loro stessa forza distruttiva. Addirittura crearli. Non un sogno ma un incubo, a cui possiamo credere di porre un limite con la facile e confortante pretesa di imporre scopi e obiettivi “a vantaggio” dell’umanità. Dimenticandoci però della debolezza, della fallacia umana da cui hanno tratto origine. Quelle non le risolve certo l’IA.