Prendete Messi, Ronaldo, Bale o Gervinho o “maratoneti” come Javier Zanetti e Thomas Muller e vedrete una partita davvero “illuminata”. Non tanto per le loro doti tecniche, quanto per la velocità e l’energia cinetica che sono in grado di sviluppare e che da sole potrebbe bastare ad accendere i riflettori di uno stadio. In Brasile ci hanno provato e l’esperimento pare riuscito, con tanto di firma di Pelè che ha inaugurato a Rio de Janeiro il primo campo di calcio che si illumina grazie al movimento dei giocatori. Una vera rivoluzione copernicana ideata e realizzata non in qualche laboratorio della Silicon Valley o del Mit di Boston ma più modestamente a Morro da Mineira, una favela nella zona centrale della metropoli brasiliana. Grazie a 200 placche installate sotto il manto erboso, la corsa dei calciatori ha trasformato l’energia cinetica in energia elettrica, consentendo l’accensione dei riflettori - in buona parte (80%) già caricatisi durante il giorno grazie agli appositi pannelli solari posti attorno al campo - . La tecnologia è stata fornita da Shell Brazil, che ha patrocinato l’idea di un giovane ingegnere inglese, Laurence Kemball-Cook, che a sua volta si è ispirato al movimento dei pedoni osservato nelle stazioni di treni e delle metropolitane. L’unico “inconveniente” per questa tecnologia rivoluzionaria è legato ovviamente al numero dei “corridori” presenti in campo. Va da sé che avere in campo “velocisti” del calibro dell’ecuadoriano Antonio Valencia (considerato il calciatore più veloce del mondo con i suoi 35,2 kmh), Bale (34,7 kmh), Robben o Cuadrado, per citare alcuni “speedy gonzales” del calcio, aiuterebbe e tanto la piena riuscita dell’esperimento. Ma certo oggi, in tempi di calciatori- atleti non sarà un problema trovare 22 giocatorilampadina. Basti pensare che agli ultimi Mondiali il tedesco Thomas Muller, il giocatore che ha percorso la maggiore distanza in campo coprendo addirittura 84 chilometri, precedendo Kroos, Mascherano, e Lahm. Altri tempi rispetto a quando in campo correvano - si fa per dire - i vari Rivera, Cordova, Corso o Di Bartolomei che, con i loro piedi vellutati, ben difficilmente avrebbero potuto illuminare qualcos’altro che non fosse una semplice partita di pallone. Forse chi ci aveva visto lungo è stato il papà di Pelè che - lo ha ricordato “o rey” stesso - gli diede il nome di Edson proprio in omaggio all’inventore della lampadina, Thomas Edison.