Società. Impariamo dai giovani a comunicare con libertà
L’adesso di Dio. I giovani e il cambiamento della Chiesa di don Sergio Massironi e suor Alessandra Smerilli (pagine 128, euro 13,00, disponibile da oggi) è il primo volume della collana “Pagine prime”, realizzata dalla casa editrice Vita e Pensiero in collaborazione con Avvenire: libri che riprendono e approfondiscono le tematiche affrontata dal nostro giornale, fornendo così una chiave di lettura libera e originale sulle grandi questioni dell’attualità. In particolare, L’adesso di Dio (da cui anticipiamo una parte dell’ampia postfazione di Chiara Giaccardi) rielabora le analisi con cui don Massironi e suor Smerilli hanno sviluppato su Avvenire la riflessione avviata dal Sinodo dell’ottobre 2018.
Al Sinodo dell’ottobre 2018 i giovani hanno portato un lieto scompiglio e ridefinito, con la loro stessa presenza, le regole della comunicazione. Ricordando che la comunicazione non è una funzione, lo strumento per trasmettere efficacemente contenuti, ma è costitutiva del nostro essere relazionali: in quanto tali, siamo anche esseri comunicanti. E non si comunica solo con le parole, ma con tutto il corpo (pensiamo al messaggio potentissimo che Gesù ha mandato lasciandosi bagnare i piedi con le lacrime e asciugarli con i capelli da parte di una donna). Comunicazione e comunione hanno la stessa radice, troppo spesso lo si dimentica. Grazie alla presenza fi sica dei giovani, più che le parole scambiate e scritte ha assunto un ruolo cruciale e autenticamente innovatore la dimensione metacomunicativa. Importanti studiosi, da Bateson a Watzlawick alla scuola di Palo Alto, hanno sottolineato come sono la dimensione non verbale e relazionale a determinare il più profondo significato della comunicazione. L’aspetto relazionale è in grado di influenzare in modo determinante l’intelligibilità di quello verbale, rafforzandone, negandone o riorientandone il senso. Si parla a questo riguardo di metacomunicazione: una dimensione legata alla natura relazionale e non puramente espressiva o trasmissiva della comunicazione, che consente non solo di accordarsi implicitamente sulla definizione della situazione, ma anche di negoziarla, contestarla, riformularla.
La metacomunicazione stabilisce la “cornice” entro la quale la comunicazione verbale acquista senso e facilita così la sintonia tra gli interlocutori. La dimensione relazionale è insieme presupposta e rafforzata. Attraverso la metacomunicazione si riconoscono i ruoli, ma li si può anche mettere in questione. Quando esiste un differenziale di potere, la metacomunicazione è spesso l’unico modo per ridefinire simbolicamente rapporti e gerarchie. È perciò un comportamento comunicativo raffinato, che richiede grande competenza e capacità di non restare preda delle emozioni. Grazie all’interazione coi giovani, durante tutto il mese di ottobre i padri sinodali hanno svolto un vero itinerario metacomunicativo, passando da una comunicazione molto istituzionale e un po’ ingessata a un’autoironia (in fondo, una percezione di sé che tiene conto dello sguardo del-l’altro) che si è espressa in tanti modi [...]. Senza voler promuovere l’illusione di una inappropriata equivalenza, i padri hanno saputo entrare nel gioco della reciprocità cui i ragazzi li hanno invitati. Quello metacomunicativo è stato un vero dialogo implicito ma estremamente fecondo, fatto di inviti, risposte e rilanci. Forse, la parte più fruttuosa del Sinodo, e in ogni caso una dimensione costitutiva del camminare insieme che ha fatto progredire nel percorso di rigenerazione della Chiesa. Entrare in una vera dinamica relazionale, anziché limitarsi a occupare un ruolo, genera novità, cambiamento, vita. Senza polemica e contrapposizione, ma in modo costruttivo. Da parte dei giovani, rispetto alla definizione della situazione e dei ruoli non c’è stata una contestazione, una controaffermazione, bensì una negoziazione che senza rifiutare la “cornice” di riferimento è riuscita a dilatarla. Il metamessaggio di riduzione di distanze e crescente fiducia reciproca è diventato via via più chiaro con lo scorrere dei giorni osservando i volti, gli sguardi, le ridotte distanze interpersonali, i sorrisi.
Prendersi reciprocamente sul serio mentre si cammina insieme significa anche fare un salto nella relazione, oltre che dare sostanza a ciò che si sta facendo. I giovani sono stati una vera risorsa, la loro presenza attiva ha fatto la differenza. Senza i loro apprezzamenti educatamente rumorosi, senza la loro parresía, senza la passione dei loro interventi molti temi delicati non avrebbero potuto essere affrontati con tanta lucida serenità e tanta misericordia. Il cambiamento è stato tangibile. Sono visibilmente mutate nel tempo sia la prossemica (la distanza interpersonale, la distribuzione nello spazio, la gamma delle situazioni spaziali) sia la postura, molto meno rigida, sia la mimica facciale, molto più espressiva, aperta, sorridente. Una danza relazionale che ha saputo inventare coreografie via via più armoniose. La capacità di metacomunicare è un segno di maturità, equilibrio, consapevolezza di sé, degli altri, della situazione. Ha veramente colpito questa competenza in persone così giovani, capaci di “comunicare sulla comunicazione” e gettare un po’ di scompiglio nella definizione della situazione “Sinodo”, riportandola al suo significato originario: non una procedura della Chiesa istituzione, ma un cammino comune della Chiesa popolo, tutta insieme. Quali comportamenti siano appropriati in una situazione dipende dalla definizione della situazione che i partecipanti avvallano con la loro interazione [...]. È la via di una rivoluzione dolce, intelligente, propositiva che ha a cuore prima di tutto la qualità della relazione, senza la quale nessun contenuto può passare davvero. E che aiuta a ripensare il significato di “autorità”: anche di questo c’è bisogno, e anche rispetto a questo il Sinodo ha aiutato a fare alcuni passi importanti.