Agorà

Il film tedesco vincitore a cannes. Il villaggio del male secondo Haneke

Frédéric Théobald domenica 25 ottobre 2009
Filmare l’origine del male. Il progetto è quantomeno ambizioso. Ma in linea con l’opera di Michael Haneke che, dopo Benny’s Video del 1992, non ha smesso di interrogare l’educazione, la violenza – fisica e morale –, la cattiva coscienza e la colpevolezza della società occidentale. Scegliendo una forma classica, un bianco e nero purificato e austero, il cineasta austriaco dipinge ora in Il nastro bianco (palma d’oro a Cannes e in arrivo nelle sale italiane) un villaggio protestante del Nord della Germania alla vigilia della Prima guerra mondiale. Una società chiusa e gerarchica, dove l’umiliazione la fa da padrona e che diventa teatro di strani avvenimenti. Al centro della comunità, bambini al tempo stesso vittime e autori delle peggiori cose. Bambini che, due decenni più tardi, figureranno tra gli elettori di Hitler… Per scrivere la sceneggiatura Michael Haneke si è documentato a lungo, in particolare sulla pedagogia e sul mondo rurale. Più che un film storico sulle origini del nazismo, però, il regista ha voluto proporre una riflessione morale.Haneke, da dove parte questa storia?«Volevo raccontare come l’essere umano soccombe a un’ideologia. E mostrare le condizioni che favoriscono tale adesione. In realtà la storia ci insegna che si ritrova sempre lo stesso terreno fatto di disagio, oppressione, umiliazione, disperazione… Di fronte a tali sofferenze l’uomo cerca un’ancora di salvezza. Di solito è un’ideologia. Ossia un’idea seducente, che diventa pericolosa quando è innalzata a principio assoluto. Per uscirne, si accetta di trattare l’altro come si è stati trattati. L’esempio più noto resta quello tedesco. Tuttavia non vorrei che si riducesse Il nastro bianco a un’opera sul nazismo. È un film sull’origine del male». Nel film lei denuncia un’educazione fondata sull’autoritarismo e sulla negazione dei sentimenti. Ma a quell’epoca la stessa educazione non veniva impartita anche in Francia e in Inghilterra?«Effettivamente la storia avrebbe potuto essere ambientata in Francia o in Gran Bretagna. Così come potremmo trasporla ai nostri giorni in un Paese islamico. L’idea centrale resterebbe immutata. Tuttavia il protestantesimo ha dato al nazismo un’impronta particolare. La mia riflessione è nata da un documentario sul processo Eichmann. Quel criminale si esprimeva senza la minima traccia di rimorso. Sono rimasto senza parole nel sentirlo presentarsi come un "bravo funzionario". Tale comportamento mi sembra conforme a quella che era allora la cultura protestante, al tempo stesso elitista e rigorosa. Ma non avrei potuto esplicitare in un film un fenomeno così complesso come le cause del nazismo».Dobbiamo vedervi una messa sotto accusa della religione?«Sarebbe un fraintendimento assoluto e un’idiozia presumere che il nazismo sia un prodotto del protestantesimo! Il cristianesimo è una cosa bellissima. Il pericolo, ancora una volta, viene dal passaggio dall’idea all’ideologia, quando si tende a considerare nemici quelli che non condividono la propria visione del mondo. I bambini, nel mio film, erigono a ideali assoluti le idee dei genitori. Ma al tempo stesso constatano che gli adulti non rispettano i precetti che insegnano. Allora essi decidono di diventare la mano destra di Dio per castigare i colpevoli. E se la prendono sempre con i più deboli, praticamente con una sola eccezione. È questo l’aspetto più triste della storia».Il pastore è uno dei personaggi chiave del film. Severissimo con i figli, è inquietante ma mai perverso…«È una figura tragica, perché ama i suoi figli ed è intimamente convinto di agire per il loro bene. Fino a quando comprende che i suoi precetti conducono a un punto morto. È l’educazione rigida che propone ad essere perversa, non lui».Nel cinema americano il male è spesso "l’altro". Lei mette in scena storie dove il male è in ognuno di noi…«Nel libro Conversazioni di Goethe di Eckermann si fa dire al drammaturgo tedesco: "Non esiste crimine che non potrei aver commesso". Ciascuno è capace del peggio se ci sono tutte le condizioni…».Eppure qualcuno sceglie il bene…«I santi… Ma restano l’eccezione. È la vecchia storia in cui, per evitare il naufragio di una barca, basterebbe che uno dei passeggeri accettasse di buttarsi in mare. Ma chi si immolerà? Chi è disposto a sacrificare la propria vita per il bene comune?».La messa in scena e il montaggio si rivelano più classici che in molti altri suoi film…«L’importante è trovare una forma semplice per consentire allo spettatore di entrare in un universo estraneo. Non sopporto quegli affreschi storici che ambiscono a una ricostruzione fedele del passato. Per questo c’è la voce del narratore che fin dall’inizio relativizza la realtà del racconto, confessa di non essere sicuro dei ricordi. Inoltre il bianco e nero mette una certa distanza, dice che quella sullo schermo è una ricostruzione, un racconto nato dalla memoria e dunque da prendere con cautela. Diversamente da quanto accade con un romanzo, al cinema lo spettatore si trova di fronte a immagini costruite. Io cerco di restituirgli quella libertà che offre la letteratura».

(traduzione di Anna Maria Brogi)