La rivista. "Luoghi dell'Infinito": Manzoni e gli umili eroi
A centocinquant’anni dalla morte Alessandro Manzoni resta forse il più contemporaneo tra i grandi scrittori europei. “Luoghi dell’Infinito” gli dedica una monografia, in edicola da martedì 9 maggio, firmata dai maggiori studiosi e di cui anticipiamo ampi stralci dei testi del cardinale Gianfranco Ravasi e del professor Carlo Ossola. Due gli editoriali. Il primo è della scrittrice Mariapia Veladiano, che spiega le ragioni e i “rischi” dei Promessi sposi sui banchi di scuola. Marco Ballarini, dottore della Biblioteca Ambrosiana, si sofferma sul vero protagonista del romanzo: «Colui che determina le sorti di tutti è presente ovunque ma è come nascosto. Togliete Dio e tutto sarà privo di senso». Il filologo Angelo Stella racconta in prima persona, come in un diario apocrifo, le tappe della vita di Manzoni, ricca di eventi, affetti, amicizie, a dispetto dell’immagine stereotipata che affligge lo scrittore. Carlo Ossola, oltre all’articolo che anticipiamo, propone un secondo testo in cui esamina l’influenza del giansenismo in Fermo e Lucia. Jone Riva racconta le case e i giardini di Manzoni, grande appassionato di botanica. Franco Cardini affronta il problema della visione della storia nei testi dello scrittore lombardo. Si entra poi nel dettaglio delle opere: Pierantonio Frare spiega la natura rivoluzionaria degli Inni sacri; Ermanno Paccagnini quella della Colonna infame. Per Manzoni l’elemento visuale era fondamentale: anche per questo è stato amato e illustrato dagli artisti, come racconta Elena Pontiggia. E alla sua fortuna cinematografica e televisiva dedica un testo Alessandro Zaccuri. Giuseppe Lorizio scava nell’amicizia feconda con Antonio Rosmini. Ancora Zaccuri riflette sul rapporto tra Manzoni e gli scrittori del Novecento. Concludono la monografia la testimonianza del poeta Guido Oldani e un atlante dei testi manzoniani di Renato Marchi.
La monografia di “Luoghi dell’Infinito” sarà presentata a Casa del Manzoni (via G. Morone 1, Milano) oggi, 5 maggio 2023 alle ore 18: un convegno dedicato a “Manzoni e gli umili eroi”, a cui parteciperanno molti degli studiosi che hanno firmato la rivista, tra cui Carlo Ossola, Ermanno Paccagnini, Angelo Stella. In quell’occasione la presidente Adriana Beverini consegnerà il “Premio Montale fuori di casa” a Giovanni Gazzaneo, coordinatore di “Luoghi dell’Infinito”, con questa motivazione: «per la sua interpretazione dei valori spirituali nella storia della letteratura, del pensiero, dell’arte e perché della bellezza ha fatto la stella polare nelle iniziative da lui promosse a livello culturale ed editoriale. E questo a partire da “Luoghi dell’Infinito”. La rivista nasce nel 1988, quando la Compagnia di San Paolo del Cardinal Ferrari chiede a Giovanni Gazzaneo, neolaureato in filosofia all’Università Cattolica, di ideare una rivista di turismo religioso e culturale, la prima nel suo genere. Quella prima esperienza editoriale dura quattro anni. Poi rinasce nel 1997 come mensile di “Avvenire”. Su richiesta della Cei l’allora direttore Dino Boffo chiede a Gazzaneo di ideare una rivista di arte e cultura. Sono due i poli del mensile in questi ventisette anni di pubblicazione: il primo è la ricerca della bellezza, non come puro fattore estetico ma come racconto, in testi e immagini, della bellezza della Natura e della bellezza generata dall’uomo, in particolare per esprimere il senso religioso; il secondo polo è essere spazio di dialogo e di incontro tra culture e fedi diverse».
Giuseppe Pensabene, “Fra Cristoforo, Agnese, Renzo e Lucia”, 1861, olio su tela. Palermo, Galleria d’Arte Moderna - Mondadori Portfolio
Il viaggio verso l'uomo di Manzoni
Carlo Ossola
«Il suo romanzo storico non è solo un bel lavoro artistico, ma è un vero monumento, che occupa nella storia dell’arte quel medesimo luogo che la Divina Commedia e l’Orlando furioso »: così Francesco De Sanctis nella sua introduzione ai Promessi sposi. Tale impegnata e così netta elezione è motivata con l’ingresso, per la prima volta nella nostra letteratura, della storia e del quotidiano, del vissuto; storia e realtà vengono infine a coincidere con la scrittura: «E chi guarda alla storia dell’ideale nel mondo moderno, vedrà che dalle cime del più astratto ascetismo essa è uno scendere lento, ma assiduo, verso la terra, incorporandosi sempre più ed entrando in tutte le differenze e le sinuosità della vita. In questo cammino noi ci siamo lasciati oltrepassare, rimasti stazionari e vuoti e oziosi arcadi, più sognando che vivendo; ora ci siamo risvegliati, e cominciamo una nuova storia, e la pietra miliare della nostra nuova storia è questo romanzo, dove risuscita con tanta potenza il senso del reale e della vita». Lucia, la «bella baggiana» ( I promessi sposi, XXXVIII), non Beatrice la divina, non Angelica, non Armida, le seduttrici, diveniva emblema del cammino umano, essa che − alla fine del romanzo − tornava «contadina come tant’alne tre»: «Quando comparve questa Lucia, molti i quali credevan forse che dovesse avere i capelli proprio d’oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l’uno più bello dell’altro, e che so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciar il naso, e a dire: “eh! l’è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s’aspettava qualcosa di meglio. Cos’è poi? Una contadina come tant’altre. Eh! di queste e delle meglio, ce n’è per tutto”. Venendo poi a esaminarla in particolare, notavan chi un difetto, chi un altro: e ci furon fin di quelli che la trovavan brutta affatto». Dalla lirica alla tragedia di condottieri e principi, ai cori «della causa dell’umanità » (August Wilhelm von Schlegel), al romanzo, fu la conquista di un dire comune: e nel romanzo ancora successe la progressiva limatura, dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi del 1827, a quelli “italiani” del 1840, controllata sul fiorentino la lingua e arricchito il romanzo di una seconda trama illustrativa, quella delle incisioni eloquenti di Francesco Gonin. Fu davvero la Biblia pauperum per l’Italia unita, una storia e una lingua comune da offrire all’«esistenza positiva» di cittadini ordinari. Ma quel “tono minore” fu un’ardua conquista; la prima visione storica e teologica del Manzoni − di impronta giansenista − rimarrà tanto nei primi Inni sacri (si pensi all’incipit della Passione: «O tementi dell’ira ventura», o alla chiusa dell’inno pur dedicato alla più tenera delle mediatrici, al Nome Maria: «Inclita come il sol, terribil come / Oste schierata in campo») quanto nei più tardi; e anzi proprio il celebre inizio del Natale del 1833: «Sì che tu sei terribile!», non solo è da ricondurre al ricordo del giorno della morte della sposa Enrichetta Blondel, ma ancora a quel «terribile» che è dismisura sempre, e congrua forma di rima col «Santo inaccessibile» del primo Natale. Certo tanta maestà teologica non è priva di effetto, e talvolta detta versi inobliabili, come quell’«Immensamente Egli è» ( Il Natale) rispetto al mortale «Ei fu» del Cinque Maggio. Pur tuttavia tale religione impervia e vindice, «quell’ira tremenda» ( La Passione) e «da sì lunga ira contrita» ( Il Nome di Maria), nonostante gli accenti più raccolti intorno al «Placabile / Spirto» della Pentecoste o intorno a quel «santo rito » che «sol di gaudio oggi ragiona» della Risurrezione, inaridirà o precluderà un fruttuoso séguito di poesia religiosa nella letteratura italiana sino a Rebora o all’Ungaretti della conversione e degli Inni del Sentimento del Tempo. Miracolo dunque di equilibrio tra ira e misericordia sarà Il Cinque Maggio, che ricapitola tutta la poesia politica e tutto l’impegno religioso del Manzoni e ne fa voce europea tra le più alte circa il mito di Napoleone; felicità creativa della quale sarà l’autore stesso pienamente conscio, e compiaciuto: «E scioglie all’urna un cantico / Che forse non morrà». «Il Dio che atterra e suscita / Che affanna e che consola» aveva infidi trovato la misura umana più alta e più degna per inverare il suo mistero: «Ché più superba altezza / Al disonor del Golgota / Giammai non si chinò». Con Napoleone infine, e secondo la lezione del giansenista Racine, l’infinita maestà di Dio non si sarebbe più smarrita tra i piccoli ricettacoli dei cuori e della miseria umana (quella che continuerà lungo il romanzo a tormentare Agnese e Renzo e don Abbondio, e donna Prassede, e avrà bisogno delle grandi colpe e della spettacolare conversione dell’Innominato per chiamarsi alfine fede); solo con lui i «campi eterni » potevano da ultimo aprirsi «pei floridi / Sentier della speranza», là «dov’è silenzio e tenebre / La gloria che passò ». Solo in quel silenzio, su quelle memorie («Tal su quell’alma il cumulo / Delle memorie scese») veniva adempiendosi la finale orazione della Pentecoste: «Scendi e ricrea», quel perdersi nella luce, «Brilla nel guardo errante / Di chi sperando muor». Siffatta parabola è possibile, poiché l’eroico − dal quale Manzoni pur prende avvio − è bensì in scena, ma vinto: vinto il conte di Carmagnola, vinti Desiderio e Adelchi, vinto Napoleone dalle forze della storia; vinto l’Innominato dalla forza della Grazia. La storia così s’accampa non per illustrare le gesta dei magnanimi, ma per portarli tutti, grandi e piccoli, al «disonor del Golgota».
La Bibbia domestica di don Lisander
Gianfranco Ravasi
L’orizzonte tematico che si apre davanti a chi vuole rintracciare la filigrana biblica negli scritti manzoniani è immenso. Ne ha offerto una mappa un importante studioso di letteratura italiana come Giuseppe Langella nella voce dedicata allo scrittore milanese nel grandioso Dizionario biblico della letteratura italiana diretto da Marco Ballarini (Ipl, Milano 2018). Noi stessi nel 2016, sotto il titolo più generico Manzoni e la Bibbia (Salerno Editrice), abbiamo condotto una minuziosa recensione di tutte le fonti bibliche dirette o indirette usate dall’autore nelle sue Osservazioni sulla Morale Cattolica, traendone un bilancio molto suggestivo. Non è neppure possibile in queste nostre righe ricostruire la formazione teologica di Manzoni, a partire dalla sua conversione avvenuta nel 1810 per passare attraverso il fluire degli anni successivi (soprattutto col sostegno dell’abate Eustachio Degola e di monsignor Luigi Tosi, poi vescovo di Pavia). Ci accontenteremo, invece, prima di affrontare un breve percorso nei Promessi sposi, il suo capolavoro, di gettare innanzitutto uno sguardo nella biblioteca di Manzoni per un sondaggio di verifica degli eventuali sussidi biblici e teologici che egli aveva a disposizione. Prima di fissare l’attenzione sulle edizioni della Bibbia, è interessante notare che tra quei volumi non mancano strumenti esegetici in uso allora, sia pure raccolti in forma un po’ dispersa. Così, ci imbattiamo in una selezione italiana dell’immensa opera dell’abate settecentesco Augustin Calmet, in un’edizione di Giuseppe Flavio, lo storico giudeo-romano del I secore in un paio di testi dedicati alla storia dell’Antico e del Nuovo Testamento, nei commenti ai Salmi di sant’Agostino, in alcune “spiegazioni” di Giobbe, dei Salmi, della Passione e di testi paolini, e troviamo persino un testo sulla pasqua giudaica. Si accumulano anche vari ma- di pietà che contengono passi biblici, soprattutto quelli inerenti all’officiatura liturgica. Oppure si hanno libri di meditazione e affiorano anche versioni “letterarie” – più o meno di qualità – di scritti biblici. Non manca anche qualche esempio di uso apologetico dello, le Scritture, uso che sarà ampiamente praticato da Manzoni nelle citate Osservazioni. Il nostro interesse, però, si orienta soprattutto sulle edizioni della Bibbia, e qui ci imbattiamo in qualche sorpresa. Manzoni, certo, ha a disposizione nella casa milanese di via Morone la Vulgata, la traduzione latina della Bibbia compiuta da san Girolamo. La possiede nell’edizione in otto volumi pubblicata a Parigi nel 1652. A essa si aggiunge anche una notevole serie di Bibbie parziali o integrali tradotte in lingua volgare. Segnaliamo, poi, una senualetti rie di versioni in italiano o francese di singoli libri biblici: Giobbe, i Salmi e Isaia. In sintesi possiamo dire che l’insieme della strumentazione biblica che il Manzoni aveva a disposizione nella sua biblioteca domestica corrispondeva a quella che poteva aveclassica in dotazione un teologo dell’Ottocento; per certi versi era persino superiore, anche se quest’ultimo poteva poi accedere alle biblioteche dei Seminari o delle istituzioni ecclesiastiche. È, comunque, interessante notare che lo scrittore nella premessa alle Osservazioni sulla Morale Cattolica sente la necessità di scusarsi nei confronti di «chi ha fatto studi seri e lunghi sulle Sacre Scritture», nella convinzione di essersi mosso in modo “superficiale. […] Quello di Manzoni è, perciò, sostanzialmente il metodo adottato dai teologi del tempo che sostenevano le loro tesi ricorrendo alle Scritture considerandole come il fondamento prossimo o remoto del loro pronunciamento e della speculazione sistematica propria della teologia. Questo procedimento non è, quindi, condotto secondo i canoni dell’esegesi storico-critica moderna e degli eventuali altri approcci testuali contemporanei. La Bibbia, infatti, veniva considerata quasi come una cava o una miniera dalla quale estrarre segmenti di testo, astraendo dalla loro situazione contestuale specifica e generale, per poi proporli a sostegno della tesi teologica in questione. È facile immaginare che il sostegno non di rado era meramente allegorico, cioè si ancorava a una lettura o libera o spirituale o tradizionale del passo citato. […] La sintesi dell’intera struttura ideale e tematica dei Promessi sposi è nella tesi del ribaltamento delle sorti, cara alla Bibbia, e icasticamente formulata da Maria nel Magnificat: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Luca 1,51-52).