Cinema. Il viaggio di Milo Rau fra gli «invisibili»
Una scena del docufilm di Milo Rau. Cristo è interpretato das Yvan Sagnet
«Basta andare un po’ fuori da questa bella città, non più di una ventina di minuti di macchina, per vedere persone che dormono come gli animali sotto le stelle dopo aver lavorato tutto il giorno nelle piantagioni di pomodori per trenta euro al giorno». L’invito a vedere gli “invisibili”, i nuovi schiavi, proviene da Milo Rau, il regista svizzero di punta del teatro contemporaneo; le terre dove vivono in condizioni inumane e clandestinità sono i ghetti di Borgo Mezzanone, Metaponto e Rignano e la “bella città” a cui fa riferimento è Matera che in questo memorabile anno di capitale europea della cultura è stata al centro di un’iniziativa singolare nel mondo dell’arte scaturita da domande che l’ingiustizia sociale ha reso nell’animo di Milo Rau sempre più impellenti e inevitabili: «Chi sarebbe Gesù nel XXI secolo? Che cosa predicherebbe? Chi sarebbero i suoi discepoli? Che cosa resta del messaggio di salvezza di Gesù in questi tempi di sfruttamento globale?».
Le risposte del direttore artistico del teatro fiammingo “NTGent” sono state certe e immediate: «Gli oppressi e gli sfruttati di oggi seguirebbero senza dubbio Gesù il quale inviterebbe a recuperare dignità e fratellanza. E chiunque di questi umiliati, musulmano, o di qualunque confessione, diverrebbe un suo discepolo». Una visione adamantina sulla necessità contemporanea della missione evangelica ha spinto pertanto Milo Rau a innescare e sviluppare un’articolata e complessa operazione multidisciplinare in cui il confine fra cinema e teatro viene cancellato e soprattutto la contaminazione con la realtà raggiunge livelli di assoluta fusione. La fantasia, la finzione, l’artificio artistico vengono letteralmente messi al servizio della vita e delle sue urgenze problematiche e diventa logica conseguenza la scelta di far interpretare la figura di Cristo a Yvan Sagnet, il migrante nero noto attivista per la lotta al caporalato e promotore dei primi scioperi in Puglia nel 2011 e 2017. I braccianti sfruttati e malpagati, i rifugiati e gli immigrati diventano gli apostoli e il loro primo scenario di azione proprio la città dei Sassi, già setting dei noti film su Gesù, da Pasolini a Mel Gibson. Nuovo Vangelo è il titolo del docufilm che Milo Rau ha finito di girare nei giorni scorsi trasformando la città di Matera non nel classico set cinematografico off limits, bensì in una agorà aperta, un luogo di richiamo e raccolta dove la cittadinanza tutta veniva invitata a partecipare e a reagire spontaneamente durante le riprese delle tre canoniche scene della Passione: l’ingresso a Gerusalemme, il processo e la condanna di Cristo e la Crocifissione.
Insieme al Cristo nero di Sagnet, al Ponzio Pilato di Marcello Fonte (il protagonista di Dogmandi Matteo Garrone) e a Maia Morgenstern chiamata a reinterpretare Maria a distanza di 17 anni da Passion di Mel Gibson, materani, passanti estemporanei e turisti per caso rientravano nelle inquadrature di una performance collettiva innescando un corto circuito fra macchina da presa e schermi degli smartphone, programmate battute del copione e crude e improvvisate battutacce di chiaro stampo razzista. Il forte impatto emotivo che ne derivava dava prova concreta dell’immortalità rivoluzionaria del messaggio cristiano. Un impasto di arte e vita che si è poi ripetuto nel quarto appuntamento di questo progetto che ha assunto un’esplicita valenza sociale e civile con La rivolta della dignità - Resurrezione inscenata al Teatro Argentina di Roma e che non a caso è stata giustamente definita una «Assemblea Politica». Non si è trattato infatti di spettacolo, piuttosto un tentativo di riaccendere l’utopia di un teatro “politico” come non se ne vedeva dai tempi sessantottini di Paradise Now! del Living Theatre.
Non è stata però un’operazione nostalgica. Lo hanno dimostrato gli striscioni disseminati tutt’intorno sui palchetti che lanciavano messaggi cocenti («solidarietà non esclusione», «#Jesus is back», «quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere»), il teatro gremito in ogni ordine di posti, il susseguirsi sul palco di testimonianze drammatiche degli “apostoli”, ovvero i migranti sopravvissuti a torture nelle carceri libiche e viaggi da incubo, i contadini vessati e costretti da ciniche e illogiche logiche di profitto a coltivare prodotti avvelenati a costi irrisori, ma anche gli interventi di volti noti come quello di don Mussie Zerai che invitava a «mettere in crisi la legge quando si allontana dalla giustizia», o quello del senatore Gregorio De Falco che ricordava il dovere di soccorrere sempre tutti prima di individuarne le responsabilità ed infine lo stesso Yvan Sagnet che da vero capopopolo ha indicato il nemico da combattere: lo sfruttamento capitalistico. Tutti elementi che hanno fatto irrompere nel luogo deputato all’immaginazione un portato di realtà urgente e ineludibile.
Non è mancato anche in questo caso l’artificio tecnologico delle telecamere che da un lato garantivano la diretta streaming dell’evento e dall’altro servivano a riprendere e proiettare sullo schermo del palco le reazioni della platea anche stavolta evidentemente inglobata nella scena. Esile il canovaccio drammaturgico così come improbabile la conduzione di un Marcello Fonte, sempre nelle vesti di Pilato, alquanto naïf e dichiaratamente impacciato. Ma è stata la virulenta denuncia sociale che ha dato senso alla serata finalizzata con il «Manifesto della Dignità»: sei princìpi, votati praticamente all’unanimità dalla platea, per risorgere contro lo sfruttamento del lavoro e della natura e lottare per il diritto alla dignità umana. Annunciato anche il prossimo passo: la «Prima Missione », sulle orme dell’apostolo Paolo, il 10 novembre a Santa Maria dello Spasimo all’interno del TransEuropa Festival. Pura utopia? Non per Milo Rau il quale non nutre dubbi: «Gli umili, i rifugiati, i braccianti mi hanno insegnato che anche nelle situazioni di estrema disperazione e solitudine si può trovare la forza di lottare per i propri diritti e conquistare democrazia ed emancipazione».