Torino. Ana Blandiana: il vecchio Continente cerca la sua libertà
La scrittrice romena Ana Blandiana
Ho sempre invidiato gli scrittori delle vecchie democrazie non solo per la libertà di cui hanno goduto, ma anche – e soprattutto – perché potevano permettersi di essere se stessi, senza l’obbligo di rappresentare anche gli altri. E anche se questo privilegio aveva come risvolto la solitudine, ho invidiato la loro possibilità di scegliere o no se impegnarsi, di decidere se parlare o no anche a nome degli altri. Per quello che mi riguarda, sono sempre vissuta fra tanta sofferenza, terrore, povertà e disperazione, che non ho mai avuto la libertà di scegliere. E ho sentito questo transfer e questa assunzione di responsabilità non solo come una solidarietà quasi esultante, ma anche come un’aggressione al mio destino letterario. Ho sempre sognato che sarebbe venuto un momento in cui non sarei stata più obbligata né dai potenti a essere pro, né dalla mia coscienza a essere contro, un momento in cui mi sarei potuta permettere la suprema libertà dell’indifferenza.
Cosa che non è accaduta. Non conosco un esempio maggiormente simbolico della situazione degli scrittori dell’Est europeo, di quello che ho scoperto recentemente visitando la Biblioteca 'Libri Prohibiti' di Praga (una biblioteca di libri proibiti durante il comunismo e copiati a mano o con la macchina da scrivere e diffusi illegalmente): la Prova del labirinto di Mircea Eliade copiata a mano da Vàclav Havel. Lo scrittore romeno, fuggito dal suo paese, divenuto libero ma proibito in Cecoslovacchia, era stato copiato e diffuso dallo scrittore ceco il quale, oltre a scrivere nell’illegalità i propri libri, si sentiva obbligato a contribuire alla diffusione dei semi di libertà contenuti nei libri dell’altro. Uno dei paradossi dell’integrazione europea è che, mentre la riunificazione del Continente nella libertà è passata da Ovest a Est, la spiritualizzazione di questa libertà – almeno in materia letteraria – può arrivare da Est verso Ovest. Perché, da una parte, l’assenza per decenni della libertà ha dato un sovrappiù di sostanza e responsabilità, e, dall’altra, il patrimonio della sofferenza (perché la sofferenza è un patrimonio) nell’Est ha diminuito lo scarto fra estetico ed etico ed è stato recato in dote al patrimonio europeo. Perché, nel corso della storia, nell’Europa dell’Est la libertà non è stata una conseguenza della legge, ma un rischio e un talento, che talora si confondeva con il talento letterario, mentre i rischi nel dire la verità hanno reso i libri che la contenevano più importanti e ricchi grazie al sacrificio, mettendoli al riparo sia dagli sterili esperimenti sia dalle ragioni materialiste.
Al di là della gioia e della fortuna di ritrovarci insieme nell’Unione Europea e prima di sognare il futuro di un’Europa unita e di un mondo unito, noi dobbiamo condividere le nostre ossessioni, i nostri ricordi, le mentalità dei nostri diversi passati, vaste pianure arate con gli strumenti della letteratura. Sono convinta che la globalizzazione dovrà essere anche culturale o non esisterà affatto. Sono nata su una linea lungo la quale la carta dell’Europa è stata piegata più volte, sempre con la minaccia di rompersi, e ho sempre fatto tutto quello che dipendeva dalla mia forza di convinzione non solo perché questo non accadesse, ma anche perché ci ostinassimo a restare sempre dalla parte rivolta a Occidente, nel caso di un’eventuale rottura. E non ho avuto orgoglio più grande del vedere come le mie pagine passavano da una parte all’altra, collocandosi sulla linea divisoria. Durante mezzo secolo di comunismo, l’Europa è stata per noi l’altro mondo, così proibito e splendente in lontananza da non poterne che idealizzare i contorni. Ed ecco che siamo ora arrivati all’interno dell’Europa in un momento in cui essa dubita del suo stesso splendore. Ma noi, che l’abbiamo sognata per tanti decenni, sappiamo che nell’implacabile scontro delle civiltà, l’Europa può perdere non perché non ha forza, ma perché non crede abbastanza nella determinazione della sua forza.
Se la finalità di tutte le società è la cultura, allora non dobbiamo far altro che credere davvero nella nostra cultura attraverso cui resistere. La resistenza attraverso la cultura, efficace ieri in assenza della libertà, oggi è ancora più necessaria nell’overdose di libertà che dissolve i valori, lasciandoci scegliere il nostro sesso, ma non anche le idee. Credo davvero che, così come nelle società non libere la poesia è stato uno straordinario mezzo per salvare menti e anime dall’inferno del terrore (è sufficiente che io pensi ai versi trasmessi attraverso le pareti con l’alfabeto Morse nelle prigioni comuniste della Romania), anche il mondo odierno possa essere salvato. Come è sufficiente che le donne continuino a partorire figli perché l’umanità non scompaia, malgrado tutte le guerre e tutti gli inquinamenti, gli odi e i disastri, così è sufficiente si abbia la capacità di continuare a scrivere i nostri libri anche se, in modo evidente, essere libero è ancora più difficile del non essere libero e a un cavallo comune le ali di Pegaso possano sembrare una prova dell’impossibilità di correre.
Oltre a tutti i pericoli che rappresenta contro la civiltà, la logica e il buon senso, la nuova forma di rivoluzione culturale, che l’Occidente ha preso dal Libretto rosso di Mao, agli occhi di quelli che riconoscono l’alfabeto del terrore rappresenta la spaventosa scoperta che la storia può fare marcia indietro. Ho letto da qualche parte che nella lingua cinese la parola 'crisi' è denotata da due segni: 'pericolo' e 'opportunità'. Nel nostro caso, il pericolo non ha più bisogno di essere dimostrato. L’opportunità può essere quella di obbligarci a pensare davvero alla nostra definizione culturale e alla nostra coscienza storica. Scrivere tra un’Europa e l’altra significa per me sognare un testo a più livelli, ciascuno perfettamente intellegibile, simile alle pareti di monasteri medievali dipinte con paesaggi su cui, da determinate angolazioni, si scoprono volti di santi (traduzione di Luisa Valmarin).
- Conferenza di Ana Blandiana, Torino, Salone del libro, Sala internazionale, domenica 17 ottobre, ore 13,15