Piccolo schermo. L'anno nero delle Tv locali
Decine di televisioni locali a rischio black-out in tutta Italia. La guerra del telecomando combattuta dai grandi network che ricade sulle “piccole” stazioni. Il pericolo di tagli al Fondo statale per l’emittenza radiotelevisiva locale. Si profila un 2016 nero per le tv del territorio. Un settore che con le sue oltre cinquecento reti è un fiore all’occhiello italiano, senza uguali in Europa, e che «invece di essere valorizzato viene martoriato anno dopo anno», spiega Luigi Bardelli, editore di Tv Libera Pistoia e presidente (appena riconfermato) dell’associazione di categoria Corallo. Da quando la televisione italiana è entrata nell’era digitale, fra il 2008 e il 2012, le stazioni locali sono alle prese con un’odissea via etere che ha messo in ginocchio il comparto. «E i prossimi mesi saranno davvero difficili», annuncia Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti-Corallo che rappresenta oltre mille imprese radiotelevisive. «La crisi economica ha azzerato il mercato pubblicitario delle locali e non si avvertono segnali di ripresa – prosegue –. Inoltre permane un clima di incertezza dovuto ai continui cambiamenti di regole da parte del legislatore o delle autorità pubbliche e al vezzo di varare provvedimenti che poi restano lettera morta». Aggiunge Bardelli: «Di fatto si naviga a vista. Almeno per quelle reti che non sono costrette ad ammainare le antenne».LE RETI IN BILICO. Sono 144 le tv locali che scompariranno dagli schermi nei prossimi mesi. Dovranno restituire le frequenze che creano disturbi alle emittenti oltre confine (dalla Francia a Malta passando per i Paesi dell’ex Jugoslavia). Frequenze da bollino rosso che nel passaggio al digitale lo Stato italiano ha assegnato alle reti del territorio (ma non a quelle nazionali) nonostante gli accordi internazionali lo vietassero. Adesso ha stabilito che i canali con cui le stazioni locali arrivano nelle case devono essere liberati o, come sostiene il Ministero dello sviluppo economico, «rottamati». Dodici sono le regioni interessate. Le prime revoche sono state comunicate dal Governo nei giorni scorsi. E la babele ipotizzata dagli editori si è puntualmente realizzata. È il caso della Sicilia dove venti emittenti saranno oscurate. Il Ministero ha reso noto la lista delle stazioni tenute a liberare i canali contestati. La decisione ha sollevato proteste in tutta l’isola, a cominciare da Agrigento, provincia fra le più penalizzate dalla teleghigliottina. Duro il sindaco di Ribera, Carmelo Pace (Udc), secondo cui «la scelta di revocare le frequenze va a ledere non solo il diritto all’informazione ma anche la vita di molti lavoratori». Polemico sul provvedimento è il Movimento 5 Stelle con il consigliere regionale Matteo Mangiacavallo che ricorda come l’informazione passi «anche per tutte quelle piccole realtà che riescono a sopravvivere senza piegarsi ai poteri forti». E il segretario nazionale del Sindacato autonomo giornalisti italiani, Nino Randisi, denuncia la «ventilata soppressione di queste voci libere». Interviene anche il sindaco di Racalmuto, Emilio Messana (Pd), che sottolinea come le tv locali «svolgano una funzione fondamentale per la crescita delle comunità». Dovranno spegnere i trasmettitori nell’isola Tvf, Rtp, Azzurra Tv, Agrigento Tv, Rs produzioni, l’associazione Rosina Attardi, Gulliver, Telesiciliacolor-Rete8, Ettore Grillo editore (con Teleoasi) e Videostar. Ancora: la società Fra Diego la Matina (con Studio 98), Telemed, Il Tirreno, Tele Radio Monte Kronio, Cinquestelle Canale 8 e Tv Europa (per le quali è in corso un contenzioso), D2 Channel, Digimedia e Televisione Siracusana Color. Le emittenti hanno già fatto ricorso al Tar. «Ed è inaccettabile che alcuni operatori restino privi di frequenze», avverte Rossignoli. Meno controverso il responso del Ministero in altre tre regioni dove i canali da lasciare sono pochi e le emittenti hanno accettato di fare un passo indietro ricevendo un indennizzo: in Toscana sono Bravo Produzioni e Teleitalia; in Liguria, Start Up e Telenord; e in Lombardia, Quenza, Telearena, Canale Italia e Tele Sol Regina. «Ma il dicastero – aggiunge Rossignoli – sta prendendo tempo per valutare le situazioni più complesse nelle regioni lungo l’Adriatico dove le frequenze da dismettere sono in tutto ben 66».IL TELECOMANDO. Anche la guerra del telecomando allarma le tv locali. Avere un numero di riferimento da digitare sul televisore per trovare l’emittente è fondamentale. «E modificarlo è come se un negozio cambiasse all’improvviso indirizzo», osserva Bardelli. Ma le grandi stazioni si stanno scontrando a colpi di carte bollate soprattutto per vedersi assegnare i tasti 8 e 9 del telecomando. Fatto sta che la Cassazione è appena intervenuta per ripristinare l’ultimo piano varato dall’Agcom (e mai entrato in vigore) che il Consiglio di Stato aveva bocciato. «Un piano che marginalizza le stazioni del territorio», chiarisce Rossignoli. Oggi le locali hanno 39 spazi nei primi cento numeri; in futuro potrebbero averne appena 13. «Ecco perché chiediamo che l’attuale numerazione non sia variata e venga cristallizzata da una legge», fa sapere l’Aeranti-Corallo.
IL DILEMMA CONTRIBUTI. L’ultima Legge di Stabilità aveva stabilito che le entrate extra del canone Rai sarebbero andate a radio e tv locali: in tutto 50 milioni di euro. Adesso è stato proposto alla Camera di costituire un Fondo unico in cui confluiranno quello per l’editoria e quello per le emittenti. «Le cifre sono state garantite ma non tutto quadra», dice Bardelli. Come via d’uscita è stata ipotizzata la divisione a metà delle risorse. Una soluzione che, secondo Rossignoli, «non convince molto». Rassicura il sottosegretario alle comunicazioni, Antonello Giacomelli: «Sono preoccupazioni non fondate. Il lavoro non è finito. È necessario individuare strumenti e incentivi che premino la qualità e l’innovazione».ANCHE LA RADIO SARÀ DIGITALE. La radio italiana si sta convertendo al digitale. È la nuova rivoluzione via etere dopo l’addio alla tv analogica. Per adesso siamo alla fase delle sperimentazioni. Negli ultimi mesi l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha impresso un’accelerazione alla svolta. I test erano partiti in otto aree (Trentino, Piemonte, Umbria, parte della Toscana, Abruzzo e Sardegna) e adesso sono stati estesi ad altre otto zone che comprendono alcune grandi città come Roma, Napoli, Salerno, Reggio Calabria e Palermo. Invece non si può ancora trasmettere nei rimanenti 23 bacini radiofonici in cui l’Autorità ha suddiviso la Penisola. «La radio digitale è un’opportunità – osserva il coordinatore dell’Aeranti-Corallo, Marco Rossignoli – ma non può essere a macchia di leopardo nella Penisola. Inoltre le radio locali che muovono un terzo degli introiti pubblicitari non possono restare ai margini, a tutto vantaggio di quelle nazionali». Per ora non è prevista la fine delle trasmissioni in Fm: quelle digitali si affiancheranno ai programmi tradizionali. Certo, per ascoltare la “nuova” radio serve comprare un ricevitore digitale che è ancora relativamente costoso.