L'ex azzurro Zugarelli. «Il tennis italiano ha un grande futuro»
Una foto storica di Tonino Zugarelli, oggi 73enne, nella squadra azzurra che vinse la Davis nel 1976
Completino da tennis. I baffi come sempre perfettamente in ordine. Poco importa che ora siano diventati bianchi. L’importante è che ci siano. Il canto delle prime cicale estive si fonde con il suono sprigionato dalla racchetta di una ragazza. La musica è di quelle armoniose. Di quelle che fanno “Pof pof”, come direbbe un certo Adriano Panatta. Gli occhi di Tonino Zugarelli si perdono nostalgici nel ricordo, ma senza mai naufragare del tutto. Lo sguardo è infatti principalmente rivolto al futuro. Ai giovani tennisti che si stanno allenando al centro sportivo “Cavalieri di Colombo” sul Lungotevere Flaminio. Ironia, o se preferite, romanticismo della sorte, proprio a pochi passi da dove la sua storia tennistica iniziò. Tonino si gira e indica la posizione dei circoli che lo videro cominciare come raccattapalle. « Da lì è nato il mio desiderio di riscatto. La mia battaglia è sempre stata quella di dimostrare chi fossi a chi mi ha trattato come ultimo».
È cominciato Wimbledon. Che significato hanno ancora oggi per lei, dopo quasi 50 anni, le due vittorie in Davis proprio su quei campi contro Taylor e Lloyd?
Sono due vittorie iconiche. Come il gol e l’urlo di Tardelli nell’82. Ne stavo parlando proprio con lui qualche giorno fa. Ricordarle mi rende sempre estremamente orgoglioso. Grazie a quelle due partite posso dire di aver partecipato attivamente alla vittoria della coppa. Una fetta importante della Davis è anche mia. E non me la toglierà mai nessuno.
Nemmeno Pietrangeli…
Con Nicola ci vediamo spesso. È vero, in passato ci sono state polemiche, ma ormai sono tutte sopite. Non c’è più nessun rancore. C’è molta serenità nel ricordare quei momenti, anche quelli meno belli.
Lei ha detto in passato di non aver mai amato il tennis. È veramente così?
In parte. All’inizio della mia carriera non mi interessava nulla del tennis. Giocavo solo per necessità economica. Con il tempo mi sono affezionato veramente a questo sport. Ora posso dire di amarlo visceralmente e cerco di trasmetterlo con passione ai più giovani.
In che modo?
In questo momento sono il responsabile e il coordinatore della scuola tennis del Foro Italico. In più in questo circolo seguo con mio figlio molti ragazzi e ragazze che desiderano diventare professionisti. Puntiamo molto sulla loro formazione. Vogliamo costruire qualcosa di buono per il tennis italiano del futuro.
E come giudica quello del presente?
Il momento è molto favorevole. Da un certo punto di vista anche più dei nostri tempi, dove c’erano solo quattro giocatori affermati a livello internazionale. Ora invece, dietro a Sinner, Musetti, Sonego e Berrettini, ci sono tanti ragazzi con grandi prospettive. Nei prossimi anni poi tutto sarà possibile. Dopo Djokovic non vedo un possibile domi-na-tore assoluto. Nemmeno Alcaraz. Ci sarà molto equilibrio. Quindi anche un italiano potrebbe tornare a vincere uno Slam. Anche la Davis è alla portata, anche se ormai ne conserva solo il nome.
Intanto, dunque, anche questo Wimbledon lo vede già nelle mani di Nole?
È il favorito, ma vincere uno Slam è sempre molto difficile. È logorante fisicamente e mentalmente, soprattutto per un atleta della sua età. Il livello oggi è altissimo, già dal primo turno si incontrano giocatori molto forti.
In caso di vittoria avrà la strada spianata verso il Grande Slam?
Assolutamente no. Vincere quattro prove dello Slam nello stesso anno è un’impresa sovrumana. Ma Djokovic è il solo che in età moderna c’è stato vicinissimo. Tutto può succedere con Nole.
Lei ha giocato e vinto con Rod Laver, l’unico che c’è riuscito per ben due volte. Che ricordi ha di quei match?
Con Laver ho giocato due partite. Una vinta al terzo e una persa al terzo. Ma averlo battuto ed esserci andato vicino un’altra volta non mi permette di certo di paragonarmi a lui. Era un giocatore che mi era congeniale. Mi faceva giocare bene. A quei tempi era considerato il più forte. E posso confermarlo.
Ritorniamo al presente: che consiglio si sente di dare a Berrettini per uscire da questa crisi? Anche lei nel ’77 ne attraversò una importante.
Matteo deve stare tranquillo, allenarsi molto e aspettare l’occasione giusta per rinascere. Magari aiutato anche da un po’ di fortuna, come capitò a me durante il primo turno degli Internazionali del ’77.
Fortuna che però non la baciò in finale, con quella palla che danzò sul nastro e cadde nel suo campo. Dica la verità: cambierebbe la vittoria della Davis con quel trionfo mancato a Roma?
Onestamente no. O meglio, come è naturale che sia, avrei preferito conquistare entrambe le coppe. Ma non ho nessun rimpianto. Posso ritenermi molto fortunato. Sono entrato nella storia di questo sport. La finale a Roma non la cambierei nemmeno con la vittoria di Bertolucci ad Amburgo.
Per concludere: il 9 luglio sarà il compleanno di Panatta. La raggiungerà a quota 73. Vuole dirgli qualcosa?
Gli farò sicuramente gli auguri. Anche se (ride) non è che ci sia molto da festeggiare. Ormai andiamo avanti con la vecchiaia.