Il caso. Il nostro tempo ci interroga sul tempo che scorre
Il tempo tira. Non solo nel senso che urge, non sta fermo e trascina. Ma anche per la sua presenza sempre più massiccia nel panorama librario. Usando il temine nell’altra accezione da noi invalsa, quella atmosferica, si potrebbe dire che fa il bello e il cattivo tempo. Prova ne sia che anche in una libreria di catena di una piccola città di provincia può capitare di imbattersi in un totem dedicato all’argomento, nel quale fanno mostra di sé libri filosofici, da sant’Agostino, Martin Heidegger, Emmanuel Lévinas e María Zambrano (fino a un volume monografico di Paolo Taroni sulle filosofie del tempo che passa in rassegna la storia del concetto), di psicanalisi e neuroscienze, con autori come Eugenio Borgna e Arnaldo Benini e naturalmente di fisica con i contributi di Guido Tonelli, Carlo Rovelli, Stefan Klein, Brian Greene. Una lunga catena che dà il ritmo alla nostra nozione di storia (anche se ovviamente la riflessione inizia ben prima del crinale decisivo rappresentato dal santo di Ippona) e di cosmo. Le ultime due novità in materia sono di carattere scientifico, con una declinazione poetica, come la ricerca illuminata spesso sa fare. E l’aggettivo “illuminata” ben si adatta al primo dei volumi. Il tempo della luce dell’astrofisico Massimo Della Valle (Morellini, pagine 84, euro 14,90) inserito non a caso nella collana “Filopoetica”. La riflessione parte dalla meraviglia e dallo smarrimento davanti agli spazi interstellari che da millenni interroga l’uomo. E che raggiunge vette con Giacomo Leopardi Le domande da cui il libro parte, per una disamina di cosa la scienza può aggiungere al sentire dei poeti, sono: «Quando è nata la luce? Oppure c’è sempre stata? Cosa è l’oscurità? Luce e oscurità coesistono? Chi è arrivata prima? A che velocità si propagano? Chi crea luce nell’universo oggi? E quanta ne crea? Quanti tipi di luce esistono? Cosa ci racconta la luce dei corpi celesti?». Una vertigine. Quattro le epoche analizzate: greca, con gli atomisti, Aristotele e Platone , quella araba, le cui acquisizioni mediante le crociate e la Reconquista della Spagna islamica arrivano in Europa e culminano in Copernico, Newton, Huygens. Infine, la moderna con le rivoluzionarie teorie della relatività e della meccanica quantistica. Da un punto di vista temporale della nostra quotidianità l’alternarsi di luce e oscurità scandisce il tempo terrestre, quello astronomico invece si computa in anni luce. Per la prima volta la misurazione della sua velocità. a lungo ritenuta infinita, fu calcolata in 220milioni di chilometri al secondo (approssimativamente, ma non troppo lontano dalla realtà di 299.792) nel Seicento dal danese Ole Rømer. Ciò ha diverse conseguenze sulla percezione del tempo. «Grazie alla “finitezza” della velocità della luce possiamo vedere nel passato», cioè corpi celesti che ormai non esistono più. «La macchina del tempo non l’ha inventata Hebert Geroge Wells, nel suo romanzo The time machine nel 1895, ma madre natura», sottolinea Della Valle con l’ennesimo riferimento letterario. Un’altra delle conseguenze «sconvolgenti», ma per chi vive sulla terra praticamente trascurabile, è che «la simultaneità non esiste più». “Il tuo ora non è il mio”, la massima che presiede a questo concetto. «In pratica – prosegue l’astrofisico - viviamo in un universo nel quale è impossibile darsi degli appuntamenti. Almeno su scale cosmiche». Tutte conoscenze che ci aiutano a concepire altri mondi (alla Giordano Bruno) , nei quali immaginiamo accadano fatti che rispecchiano le leggi nel nostro. Nell’altro volume Il punto di Giano (Einaudi, pagine 388, euro 32,00), Julian Barbour, già visiting professor di Fisica a Oxford, ambisce a definire, come da sottotitolo, Una nuova teoria del tempo. Da fisico parte dalle leggi della termodinamica per contrapporre al concetto di entropia, cioè di un universo che va verso una crescente e caotica complessità, quello di “entassia”, coiniato da Flavio Mercati, che significa “verso l’ordine”. Questo attraverso la ricerca, alla convergenza delle varie frecce del tempo, di un punto, di Giano appunto,. dio bifronte, in cui «le dimensioni dell’universo si annullano». Anche nella riflessione di Barbour c’è un ricorrente riferimento letterario: Shakespeare. Andando indietro nel tempo, anche l’anno che si è da poco concluso, ha visto scorrere sugli scaffali molti contributi sul tema. Si segnalano in particolare quello di François Hartog Chronos. L’Occidente alle prese con il tempo (Einaudi, pagine 310, euro 25,00) e Il tempo. Che cos’è e come lo viviamo (Keller, pagine 216, euro 18,00) di Rüdiger Safranski. Nel primo il direttore di studi emerito dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi ha indagato non tanto i modi di misurare il suo scorrere, quanto le strategie, i “regimi di storicità” con le quali l’uomo ha cercato di addomesticare il tempo nella storia dai greci, al cristianesimo, quando Krisis e Kairos avevano imbrigliato Chronos, il divoratore. Fino al momento in cui, con l’irrompere della modernità tra Sette e Ottocento, la “serratura biblica” salta. Per arrivare all’oggi, all’era chiamata antropocene nella quale «risultano incrinate , addirittura demolite, le varie strategie di controllo del tempo». Fino ad arrivare alla sua presentizzazione e alla soggettivizzazione. Con un assunto che rispecchia quello derivato dalla velocità della luce: il mio tempo non è il tuo tempo. La proposta finale è quella di un nuovo equilibrio dell’uomo con la natura, alla luce della pandemia che ha dato un ulteriore colpo all’idea del tempo tradizionale. Dopo Kairos e Krisis, può, dunque essere Stasis il nuovo argine a Chronos. Lo studioso francese non può fare a meno, sulla scorta di molti pensatori e scienziati, di ricordare il carattere misterioso del tempo. Quello scolpito nell’indelebile frase di Agostino secondo cui se qualcuno non ce lo chiede sappiamo cos’è, ma – una volta interrogati – non lo sappiamo più. È anche il punto di partenza del filosofo tedesco Safranski. Che però fa precedere la citazione del santo da quella della Marescialla nel Cavaliere della rosa di Hoffmanstahl: «Il tempo è cosa strana / Passiamo così i giorni della vita e un nulla è il tempo / Ma poi a un tratto / ecco altro non sentiamo che lui». La riflessione, dunque, si snoda dall’esperienza della noia e dello scorrere del tempo, della sua istituzionalizzazione in calendari e orologi (un tempo a servizio dell’economia). Fino all’alternarsi di quello cosmico e di quello della vita umana, per giungere al dominio del tempo e al suo rovescio, il dissolvimento nell’eternità, che «non è un tempo senza fine, ma bensì qualcosa di diverso dal tempo». È, piuttosto incalza Safranski, «l’immagine della nostalgia dell’umanità, così come lo sono l’immortalità e la fede cristiana nella resurrezione del corpo e dell’anima». Resta aperto l’esito della tensione tra coscienza soggettiva, che vede il tempo dissolversi, e oggettiva che lo vede proseguire. Resta aperto l’enigma.