Agorà

INCHIESTA. Il sogno infranto di Roberto Benigni

giovedì 5 agosto 2010
La maledizione di Pinocchio ha colpito Papigno. Nella piccola frazione di Terni, lì vicino al fiume Nera dove sorgeva uno dei più grandi stabilimenti di carburo di calcio del mondo, il sogno del cinema si è ridotto alla carcassa di quello che per una stagione fugace è stato il Paese dei Balocchi. Un luna park fantasma, incastrato tra le colline umbre della Valnerina all’ombra delle cascate delle Marmore. Questo rimane del grande sogno di Roberto Benigni. In questi capannoni industriali abbandonati a pochi passi da Terni, il comico toscano ci aveva girato le scene dei lager ne La vita è bella. Un vero colpo di fulmine. Benigni se n’è innamorato. Al punto da volerci girare tutto il suo Pinocchio. È in quei giorni che matura il suo sogno: costruire a Papigno una nuova Cinecittà. Anzi, una sorta di anti-Cinecittà. L’attore è uno sponsor unico e imperdibile, e sulla sua spinta la città umbra punta a diventare una cittadella del cinema. L’idea si concretizza. Roberto Benigni assieme alla moglie Nicoletta Braschi, vera manager della coppia, decide di investire in questi hangar, con la propria società, la Melampo. I Benigni ci mettono i soldi, oltre 7 milioni di euro, lo storico produttore esecutivo Mario Cotone la propria intraprendenza. Con la sua Exon, il produttore rileva la gestione dei capannoni dal Comune di Terni e in pochi mesi li bonifica, li ristruttura e mette su dei teatri di posa tecnologicamente avanzati. L’impegno è grande, tanto che i Benigni e Cotone creano una nuova società, la Spitfire, 80% a loro e il 20% a lui, e firmano un accordo con il comune di sei anni rinnovabile per altri sei. Gli entusiasmi vanno alle stelle. Fino al taglio del nastro officiato da tutte le autorità del posto. Seguono contatti, partnership, registi di caratura mondiale interessati (e che nomi: Giuseppe Tornatore, Ridley Scott, Paul Verhoeven). Ci sono laboratori, sartorie, falegnamerie, e tre grandi teatri di posa, di cui uno attrezzato per effetti speciali, per un totale di oltre tremila metri quadrati. C’è persino l’idea di farne un museo permanente, un parco giochi sul cinema e un percorso a tema sulla favola di Collodi riletta dall’ultima opera visionaria dello scenografo di Benigni, Danilo Donati. Ma il film Pinocchio va male. Malissimo. E a Papigno oggi tutto è fermo, sotto uno strato spesso di polvere. E nel deserto di questi grandi spazi inutilizzati è rimasto solo un presidio dell’Umbria Film Commission, un ufficio con un gruppo di giovani dipendenti dall’agenzia di promozione turistica: che in questo contesto paiono quei giapponesi nascosti nella giungla inconsapevoli dopo anni che la guerra sia finita. Papigno oggi è solo un brutto ricordo. Un episodio che nella vita di tutti qui a Terni suscita solo amarezza a rievocarlo. C’erano tanti progetti, amici registi da coinvolgere, contatti con la Rai, fiction strappate a Roma pronte a sbarcare a Papigno. Falegnami, tecnici, maestranze al lavoro, un indotto pronto a esplodere. Invece, la delusione di Pinocchio e il bilancio in perdita della neonata società di gestione, hanno fatto cambiare idea ai Benigni. Esce di scena Cotone che crede nell’investimento a lungo termine e per questo rompe, anche professionalmente, con comico e consorte. La Braschi intanto licenzia tutti i dipendenti e si mette alla ricerca di un nuovo socio che rilevi le quote della società. Ricerca che porta a Cinecittà. Strano: la vecchia rivale diventa un’alleata che acquista il 60% di quote. Il 40% rimane alla Melampo dei Benigni. Che dalla secessione del credito riceve 5 milioni di euro. «È finita» dicono in molti, come Cotone, come chi sa che dandola in mano ai romani Papigno sarebbe morta. «Cinecittà avrebbe fatto in modo di depotenziare studios che potevano creare una scomoda concorrenza». E così è stato, perlomeno sulla base dei numeri: in cinque anni qualche fiction, come gli interni di Gente di mare, quella su Papa Luciani, la ripresa tv della lettura dantesca dell’Inferno di Benigni e poco altro. Cinema, quasi zero. Le produzioni scompaiono e le difficoltà si accavallano alla crisi del comparto. Cinecittà, secondo il contratto, con scadenza nel 2031, si impegnava a girare a Papigno almeno 100 giorni l’anno. Invece, Cinecittà Umbria Studios, come è stata ribattezzata la Spitfire, sembra ormai una filiale alla periferia dell’impero. Nel frattempo Cinecittà ha investito altrove: in un grande parco a tema nel Lazio. E le carte di un progetto simile mai avviato a Papigno intanto si ingialliscono. la moglie dell’ex socio«Doveva dare retta a Cotone E sarebbe stato un gioiello»È una storia d’amore finita male, quella tra Mario Cotone e Papigno. A raccontarla ad Avvenire è Paola Cotone, moglie del produttore esecutivo di tanti film del cinema italiano. Lei oggi è la voce di Mario, perché una malattia costringe lui al silenzio. «Ci ha messo tutta la sua vita in quegli stabilimenti. L’anima e soprattutto il corpo». Amico di Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, è Cotone a trovare gli spazi per girare le indimenticabili scene della deportazione nazista de La vita è bella. A Papigno, dove assieme decidono anche di costruire le scenografie del film Pinocchio. Questa volta però le cose si fanno in grande: «Il sogno soprattutto di mio marito – racconta Paola – era che gli stabilimenti continuassero a vivere tutto l’anno, al di là di Pinocchio. Voleva diventasse un laboratorio in cui avrebbero dovuto lavorare le maestranze di Terni. Pensava di coinvolgere i ragazzi, dare loro un lavoro nel cinema». Ma il progetto non partì mai davvero. «Una struttura simile aveva bisogno di risorse e progettualità. Invece Benigni e la Braschi se ne disamorano. La signora, dopo un primo bilancio in rosso, decise di tagliare e di licenziare le 14 persone impiegate. Mio marito cercò di dissuaderla, trovò gli aiuti finanziari necessari e propose di liquidare il loro 80% per prendere in gestione gli studios». Niente da fare. «D’intesa con il Comune di Terni i Benigni si rivolsero a Cinecittà. Che fu ben contenta di liberarsi di un diretto concorrente, a 50 km da Roma, pagando "solo" 5 milioni di euro. Il Comune ha benedetto questa unione, ci ha investito e in cambio ha chiesto un affitto di tremila euro al mese per tremila metri quadrati». La moglie di Cotone ricorda un ultimo episodio (peraltro contestato dalla controparte): «Quando il commercialista dei Benigni rintracciò mio marito per chiedergli la cessione del 20% di quota, perché Cinecittà avrebbe concluso l’affare solo con il controllo della società, lui cedette subito la sua parte, senza chiedere in cambio un euro. Ma da quel momento non volle saperne più nulla di Benigni, della Braschi e di Papigno». Il fiscalista dell’attore«Gli studios esistono ancora ma ci sono problemi oggettivi»Benigni, dicono, di questa storia non ne sa quasi niente. La Braschi è occupata. E nello studio commercialista della Melampo, la società dei coniugi Benigni, cadono dalle nuvole. Non si aspettavano dopo tutti questi anni di sentire delle domande sul «caso» Papigno. Cifre, retroscena, responsabilità: non tutto corrisponde a quanto raccolto da altre testimonianze, come quella della signora Cotone. Prima di tutto lo studio smentisce «che Cotone abbia rinunciato al  20% della Spitfire a favore dei Benigni, per esplicita richiesta di Cinecittà al momento della vendita: «Avvenne molto prima. Dopo Pinocchio la Spitfire perdeva troppo. Allora si decise per un risanamento di capitale, che Cotone non sottoscrisse». Perché? «Non so, forse non lo riteneva conveniente». Comunque le cose andarono così: l’investimento per la ristrutturazione del sito da parte della Melampo è stato di 7,360 milioni di euro. Benigni gira Pinocchio, che non va benissimo. «Nel 2004 si accertano 1,5 milioni di perdita. A cui si aggiungono 860 mila euro nel 2005». Urge trovare nuovi soci. Partono i contatti con Cinecittà che si dice interessata ed entra sottoscrivendo l’aumento di capitale. «Prende il 60% di quote, e alla Melampo resta il 40%. Che detiene tutt’ora». La Spitfire cambia nome in Cinecittà Umbria Studios, che è quella che paga l’affitto al comune. Domanda: allora a maggior ragione visto che la Melampo dei coniugi Benigni è tuttora dentro la società di gestione, Roberto e Nicoletta soffriranno dell’abbandono di Papigno e del mancato utilizzo dei suoi studi? «Adesso ci sono dei problemi oggettivi per i lavori sul viadotto. Comunque quegli spazi vengono affittati e i ricavi vanno tutti nella manutenzione». Insomma, se il sogno non si è infranto del tutto, poco ci manca.