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SCIENZA. Il senso del ritmo? È innato

Luigi Dell'Aglio lunedì 27 aprile 2009
Una mamma canta la ninna nanna prima che il bimbo nasca e, seguendo il consiglio del medico, si muove con una delicata sequenza ritmica. Il suo bambino, appena nato, ' riconoscerà' le note e il ritmo di quella canzoncina perché, nel grembo materno, ha potuto udirla chiaramente. Al quarto mese e mezzo di gestazione, infatti, il suo organo dell’udito ha cominciato a entrare in funzione e nel sesto mese, per la prima volta nella sua vita, ha percepito nettamente un suono: la pulsazione dell’aorta addominale della mamma. « Le sequenze musicali ascoltate durante la vita intra- uterina non si perdono affatto » , afferma Cristina Cano, docente di Semiotica della Musica all’Università di Bologna. La percezione del ritmo è un aspetto fondamentale non solo per la comunicazione ma per la stessa vita umana. Perciò questa facoltà comincia precocemente, nel neonato e perfino nel feto. Ora arriva la dimostrazione scientifica che il bambino non solo può avvertire i suoni ma ha la capacità di capire le strutture ritmiche della musica e di notarne i cambiamenti. E questa facoltà è innata, ha accertato un’équipe di ricercatori provenienti dall’Accademia Ungherese delle Scienze, coordinati da Istvan Winkler. Il loro studio – al quale hanno partecipato anche specialisti dell’Università di Amsterdam – è stato pubblicato sugli autorevoli Proceedings of the National Academy of Sciences ( Pnas) degli Stati Uniti. Ed ecco l’esperimento rivelatore. I ricercatori hanno fatto ascoltare a 14 neonati addormentati ( di due o tre giorni di età) ritmi rock con sequenze che arrivavano loro attraverso cuffie autoadesive « di aspetto confortevole » , spiegano i Pnas ( aggiungendo che all’esperimento erano presenti le madri). Contemporaneamente una serie di elettrodi, delicatamente appoggiati alla testa dei bambini, registravano la risposta elettrica del loro cervello all’ascolto della musica. Tutto si basava su un ' trucco', per così dire: ogni dieci battute, ne veniva saltata una, per vedere se i neonati se ne accorgevano. E il risultato è stato sorprendente. «Quando la battuta saltava, i tracciati dell’elettroencefalogramma presentavano immediatamente i segni tipici che si notano quando vengono tradite le attese del soggetto» , spiega il professor Winkler. «Il cervello dei neonati reagiva male, appena la musica perdeva ritmo; non sentiva arrivare la battuta che si aspettava» . Lo stesso accadeva ai 14 adulti che facevano parte di uno studio parallelo. u questo argomento stanno lavorando molte équipe, nel mondo. E c’è chi ipotizza che, se la sensibilità ritmica e musicale dei bambini ha inizio nel grembo della madre, allora alla musica è assegnato un ruolo veramente essenziale nell’evoluzione dell’uomo. Conoscenza della melodia e del ritmo sono una prerogativa esclusivamente umana, dicono gli scienziati. E Laurel Trainor della McMaster University, in Canada, ha accertato che l’effetto migliore l’ottiene la mamma che canta al suo bambino una canzoncina ritmica ( anche il jazz va bene), mentre lo culla con un movimento regolare delle braccia. Questa ricerca ha infatti appurato che il movimento aiuta i circuiti elettrici del cervello ad acquistare e a maturare la capacità di comprendere il ritmo. In passato si credeva che, per apprendere la sensibilità musicale, occorresse tempo ed esercizio. Non è vero. Naturalmente la musica richiede comunque impegno e sacrificio. Inoltre, non tutti i bambini presentano precocemente la dote di capire il ritmo. Ma lo studio pubblicato dai Pnas è utile alla scienza anche perché una ridotta o assente sensibilità per le strutture del ritmo potrebbe rivelare già nel neonato disturbi del linguaggio ( il cui ritmo è cadenzato dalle vocali) e dell’udito. Per non parlare delle utilissime applicazioni in campo psicologico o psichiatrico. Una spiccata sensibilità musicale può attivare emozioni legate all’inconscio.Il violinista Uto Ughi: «La musica è medicina dell'anima, fin da piccoli»Che i bambini abbiano una precocissima, anzi innata tendenza a percepire e "capire" la musica, lo ha scoperto per esperienza personale il grandissimo violinista Uto Ughi. Ciò che l’équipe di neuroscienziati europei ha ricavato da studi scientifici, con sensori applicati ai neonati, il musicista lo ha appreso direttamente suonando con i giovanissimi allievi del famoso pedagogista giapponese Shinichi Suzuki che – precisa il maestro Ughi – faceva ascoltare la grande musica ai bambini già nel grembo materno. Percepita questa musicalità latente che esiste in ciascun essere umano, i neonati venivano gradualmente avviati a una formazione che avrebbe permesso loro di scoprire il proprio talento e comunque di suonare uno strumento già a tre-quattro anni di età. Con il suo metodo, oggi praticato in tutto il mondo, Suzuki è riuscito a educare alla musica milioni di bambini. E le loro famiglie. Perché i bambini di tre anni seguono i corsi insieme con i loro genitori. Uto Ughi, a meno di tre anni, viveva in un’atmosfera analoga: «La mia famiglia organizzava concerti a casa, e io mi nascondevo ai piedi del pianoforte per ascoltare quelle splendide melodie». Maestro, in che cosa consiste il metodo Suzuki? «I bambini ascoltano musica abituandosi un po’ alla volta alla naturale armonia che è insita in ciascuno di noi. Suzuki ha creato una rete di giovani esecutori (violinisti, soprattutto). Oggi il Giappone ha orchestre di centinaia e centinaia di bambini. Nelle orchestre sinfoniche di tutti i Paesi d’Europa e d’America la percentuale di giovani musicisti giapponesi è molto alta. Il loro stile non è frutto di un’educazione musicale di massa. Al contrario, il metodo favorisce l’emergere di straordinarie individualità. Nei più rigorosi concorsi internazionali per violinisti (dal "Paganini" di Genova a quello della regina Elisabetta del Belgio, a quello di Mosca), vincono il primo premio tantissimi giovani musicisti giapponesi o coreani formatisi con il metodo Suzuki».Tutti i bambini che frequentano i corsi diventeranno musicisti? «Certamente no. Lo scopo di Suzuki è un altro: indurre i bambini ad amare la musica come scuola di educazione profonda, come disciplina interiore. È molto difficile che i ragazzi che studiano musica si droghino, cadano nel "male di vivere" o si lascino tentare dall’illusione della vita facile o addirittura dalle lusinghe della malavita. Inoltre la musica dà un forte contributo al riscatto sociale. Penso all’orchestra sinfonica venezuelana ideata e sviluppata per iniziativa di un ex-ministro della cultura, José Antonio Abreu. Questa orchestra ha coinvolto più di 100 mila giovanissimi musicisti, appartenenti agli strati più poveri della società. Una formidabile iniziativa, sponsorizzata con passione dal nostro Claudio Abbado».Chi capisce la musica "prima di nascere" o comunque da neonato avrà meno difficoltà a scuola perchè imparerà prima a leggere e a scrivere. È vero?«Nella Repubblica, Platone afferma che l’insegnamento della musica è di primaria importanza per lo sviluppo intellettuale dei ragazzi. La musica, inoltre, non si fa condizionare dalle barriere ideologiche: Beethoven è compreso con la stessa intensità a New York come a Mosca, a Tokyo o a Pechino. La scienza ci conferma quanto la musica sia legata alla vita; eppure oggi è penalizzata in un Paese come il nostro, la cui tradizione musicale (insieme con quella tedesca) è peraltro la prima al mondo. Fino a qualche anno fa l’Italia poteva vantare una fioritura di enti, associazioni e società musicali unica in Europa, e ricca anche in provincia. I tagli alla spesa pubblica per la cultura hanno provocato la chiusura del 60-70% di queste iniziative».E se riportassimo la musica nelle scuole?«Ne ho parlato con tanti ministri della Pubblica Istruzione. Un fiume di promesse che non portavano a nulla. Ora ho illustrato al ministro in carica una proposta che non comporta spese. Ho pensato a un’orchestra composta di giovani reclutati tra i migliori nei conservatori. Ogni mese si andrebbe nelle scuole a tenere gratis un concerto di musica sinfonica. Sottolineo il "gratis" perché sono sicuro che i miei colleghi accetterebbero l’idea con spirito di missione. Dobbiamo riabituare – anzi abituare ex novo – le nuove generazioni alla grande musica. Si parla tanto di musica popolare: ma è quella di Igor Strawinski e di Bela Bartok (che andava con i registratori nei villaggi dell’Ungheria, per captare suoni, melodie e danze). Niente a che vedere con quanto ci viene propinato oggi (per esempio, anche dal Festival di Sanremo): musica globalizzata e commerciale, fatta di quattro accordi che sono sempre gli stessi».Prima di suonare un pezzo, i musicisti lo "spiegheranno", come ha fatto lei più volte, prima dei suoi concerti?«Una volta non sarebbe stato necessario: oggi sì. E poi la musica va insegnata in modo entusiasmante, un metodo tedioso la uccide. L’essenziale è non disperdere un domanda che è reale. La musica è un’efficace terapia per chi soffre di patologie fisiche o di mali spirituali (ho suonato per i piccoli dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma e per i carcerati di San Vittore). La musica aiuta perfino a morire con maggiore fede ed equilibrio interiore. È un atto d’amore. Ha un significato di così profonda spiritualità che potrebbe essere ascoltata in chiesa anche se non è stata composta direttamente per la liturgia. Vado a Messa tutte le domeniche e mi piacerebbe sentire Mozart, Beethoven, Schubert e Bach, la cui musica evoca un’infinita trascendenza».