Romanzo. Il «quarto magio» di Muolo
I Re Magi in un mosaico della basilica di Sant'Apollinare
Artaban, oppure Altabarre, a seconda delle versioni in cui viene tramandata o rielaborata la storia del “quarto re”. Il nome può variare, ma non cambia la sostanza del racconto, imperniato su un paradosso temporale tanto semplice quanto efficace: a volte essere in ritardo è l’unico modo per arrivare puntuali all’appuntamento che conta più di ogni altro. Una lezione dal significato particolare in un anno durante il quale la pandemia ha stravolto le agende, costringendoci a rivedere le priorità. In fondo è questo che accade all’Artaban di Per un’altra strada (Paoline, pagine 222, euro 16,00), il romanzo nel quale Mimmo Muolo torna a narrare «la leggenda del Quarto Magio». Perché di leggenda si stratta, questo è chiaro. Nel resoconto del Vangelo di Matteo, infatti, non si dice affatto quanti fossero i saggi venuti dall’Oriente che ritroviamo in numero di tre in tante raffigurazioni pittoriche così come nei presepi domestici. Sono Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ciascuno con il suo dono dal trasparente valore simbolico.
A consegnare il regalo più prezioso, però, dovrebbe essere proprio l’intempestivo Artaban, che parte da Babilonia portando con sé pietre preziose. Negli imprevisti di un viaggio molto più tortuoso di quanto avesse immaginato, non riuscirà a preservare per il Messia neppure una di quelle gemme. C’è sempre qualcosa che lo trattiene dall’andare di fretta, c’è sempre qualcuno che ha bisogno di una parte del suo tesoro per sfuggire alla fame, all’umiliazione o alla morte. Più di trent’anni dopo, quando finalmente arriva a destinazione, Artaban non ha più nulla da donare, se non l’ostinazione di un ritardo che è stato il suo modo di attendere, di restare vigile, di cercare. Questo l’impianto generale del racconto, che Muolo – vaticanista di “Avvenire” e già autore di numerosi saggi – amplia attraverso una serie di intuizioni e approfondimenti che riguardano in modo specifico la provenienza e la qualifica dei Magi. Non re, ma sacerdoti e sapienti, devoti al culto del Dio unico Ahura Mazda venerato dallo zoroastrismo. Il giovane Artaban è diventato uno di loro grazie alle sue doti di interprete dei sogni, una capacità innata che gli fa percepire come ormai imminente la venuta del Saoshyant, il Salvatore del mondo profetizzato nei libri sacri dell’Avesta.
È sulla base delle sue indicazioni che gli altri Magi decidono di raggiungere Betlemme, ma all’ultimo momento Artaban esita fin quasi a smarrirsi. Deriva da qui il ritardo destinato a crescere cammin facendo, lungo una peregrinazione in apparenza inconcludente, nel corso della quale il protagonista si imbatte anche in città stremate dal debito, prigionieri da riscattare, bambini da sottrarre alla strage, donne da restituire alla libertà. Di volta in volta Muolo riesce a istituire un’analogia fra le situazioni incontrate da Artaban e i drammi del nostro presente, ma sempre con discrezione, senza forzare la mano, lasciando che sia il suo personaggio a interrogarsi e a sperare per conto del lettore. Speranza ben riposta, visto che di tappa in tappa, e di ritardo in ritardo, Artaban è destinato a trovarsi a Gerusalemme nei giorni della Passione e morte di quel Gesù che sembra aver inutilmente inseguito per tutta la vita e che invece, misteriosamente, è lì ad aspettarlo.