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SANTUCCI E BALDUCCI. Il prete e lo scrittore, amicizia «profetica»

Roberto Beretta venerdì 6 maggio 2011
Ucci ucci ucci, sento odor di cristianucci...». Ma che? Alla faccia della rima, con Santucci e Balducci persino l’orco delle favole avrebbe dovuto fare un passo indietro: di rispetto e ammirazione.Cristianoni, erano semmai quelli. Cristiani a tutto tondo, non solo nelle loro opere maggiori – romanzi immaginifici o impervi saggi teologici che fossero – ma persino nei bigliettini e nelle cartoline che si scambiavano all’occasione e che adesso sono stati raccolti in un Carteggio dalla fondazione Ernesto Balducci, per la cura congiunta di Emma Santucci, figlia di Luigi, e di Andrea Cecconi, biografo dello scolopio fiorentino. Un epistolario di frammenti un po’ episodici, che forse non aggiunge molto alla conoscenza bibliografica dei due autori; ma facilita senz’altro l’introspezione di un’amicizia felice.I cui termini temporali sono piuttosto chiari: dal 30 ottobre 1954 (quando sul diario il trentaseienne Santucci annota «Balducci mi ha impressionato per la sua stupenda eloquenza e sicurezza nel rispondere ai problemi che padre Davide Turoldo gli poneva in veste di avvocato del diavolo») e il 24 aprile 1992, giorno della scomparsa del sacerdote della Badia fiesolana in un incidente d’auto, a 70 anni. Ancor più precisamente: dal 18 gennaio 1955 – data della prima lettera di Santucci – al 19 agosto 1991, giorno in cui i due amici si videro per l’ultima volta in un ristorante di Lecco, presenti anche l’oggi cardinale Gianfranco Ravasi, padre Nazareno Fabbretti e don Luigi Pozzoli. Quasi 40 anni di cui i 59 testi epistolari rimasti offrono almeno qualche squarcio.Anzitutto risalta l’ammirazione che Santucci riserva all’intuizione e alla facondia del religioso toscano: «Con la tua caldissima chiarezza, con la punta di diamante della tua intelligenza, ci hai dato, come prima non ci era mai accaduto, il senso della Grazia». «Accidenti, una cosa d’un acume e d’una profondità inarrivabile». «Devo ringraziarti in ginocchio di aver scritto quel libro. Dove, a parte la solita bravura dialettica... tu ti sei consegnato a me lettore nella tua più calda, estemporanea umanità e hai fatto lievitare spesso in poesia la tua immagina ancora troppo magisteriale, adamantina». E la stima è tale che l’autore de Il velocifero registra le conferenze di padre Balducci, se le fa inviare, se le fa sbobinare.Ovviamente i due autori si scambiano pure i libri, che man mano vanno pubblicando, e ne condiscono i commenti con da ironie e giocosità: «Sono stufo marcio – scrive nel marzo 1962 Santucci, che si firma "Lillo de’ minori Balducciani" – di ammirarti e di cadere in ginocchio quando leggo un tuo articolo»; poi scioglie un «pio baccanale» in cui cita in rima la rivista diretta dall’amico («Noi ci sentiam più baldi / o almeno più Balducci / e qui con ebbre danze / ti diam Testimonianze»...) e si proclama devoto di un "neo-balduccismo" che peraltro non sembra aver rinnegato neppure molto più tardi, stando a una lettera del 1987: «Io posso essere da 30 e più anni "balducciano": non di stretta osservanza, ma di tenera e sprovveduta obiezione, di candida e rispettosa eresia».Tutte le lettere del primo periodo sono infarcite di espressioni scherzose. Santucci: «Ti bacio i calzari, Rabbi», «Noi pendiamo come naufraghi dal tuo sopracciglio onnimovente»; «Ci basterebbe una goccia della tua rugiada». E Balducci ricambia le ironie: «Sfruttatore delle pattumiere ecclesiastiche», «Salutami tutti i porti mondani coi quali potrai tra poco sfogare la tua fregola di Casanova delle tonache nere»... Il che non impedisce però di partecipare reciprocamente ai lutti per la morte delle rispettive madri, cui ambedue sono fortemente legati: «La mia era come un sorriso che mi sanguina – scrive il sacerdote – io che non ho altri sorrisi destinati al mio sangue». O anche di scambiarsi gli entusiasmi per il Concilio: «Sono pazzo, pazzo, pazzo per il discorso di Giovanni XXIII», annota Balducci (ma elogia pure Montini appena eletto: «So che i miei e i tuoi amici sono perplessi su Paolo VI. Io non condivido le loro perplessità»; e infatti il Papa lo riceverà nel 1964 per «una lunga udienza privata. Una gioia incomparabile. Sono ormai un garibaldino entrato nell’esercito regolare per volontà del sovrano!»).Si verifica poi una sorta d’interessante «inversione teologale» tra i due corrispondenti: nei primi anni è lo scrittore milanese ad accennare a ripetute crisi di fede, a dubbi sulla Chiesa per i quali chiede il sostegno sia sapienziale, sia di preghiera dell’amico («Tu che sei forte come una rupe»; «Se non proprio un Padre, sei per me almeno uno zio della Chiesa»; «Ho passato giorni più calmi, più fidenti, subito dopo, meditando le tue parole»; «Il tuo bellissimo libro mi ha quanto meno asportato una fetta di quell’ateismo o scetticismo che tutti mi augurate provvisorio»); anzi, Santucci non esita a indirizzare al sacerdote amici in difficoltà spirituali. «Io credo ormai da quasi due anni – scrive nel 1962 – su un peregrino sillogismo: p. Balducci crede; p. Balducci è tre volte più intelligente di me; dunque  ci sono due terzi di ragioni, contro la mia crisi agnostica, perché io seguiti a credere».Qualche decennio più oltre sarà invece lo scolopio – incappato a più riprese nelle diffidenze ecclesiastiche soprattutto dopo le prese di posizione sul referendum per il divorzio nel 1974 – a meritare l’incoraggiamento dell’amico laico. Quando Balducci si sente addirittura «fuori dal Vangelo», Santucci reagisce «assicurandoti, per corroborarti nella fede, che portae curiae non praevalebunt» (1971); lo gratifica come «uno dei più poderosi enfant du siècle e – dopo lo storico incontro tra Giovanni Paolo II e Gorbaciov nel dicembre 1989 – si congratula con lui per il compimento delle teorie sull’«uomo planetario»: «Vedi dove è arrivato il tuo caparbio, profetico utopismo? Era giusto che tu vedessi avviata a vittoria la tua battaglia. Ormai è fatta, mio ottimo Ernesto».