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Musica. Dai Bizantini ad Arvo Pärt: la Pentecoste sul pentagramma

Chiara Bertoglio domenica 19 maggio 2024

El Greco, “Pentecoste”, 1597-1600 (particolare)

La solennità di Pentecoste è una delle tre occasioni più importanti dell’anno liturgico, e fa memoria della discesa dello Spirito Santo sulla Vergine Maria e i discepoli di Gesù raccolti nel Cenacolo, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Grazie alla preminenza di questa ricorrenza nel calendario cristiano, ma anche grazie al contenuto intrinseco della celebrazione, che richiama all’effusione dello Spirito di amore, creatività e bellezza, la musica è stata “ispirata” in numerosissime occasioni dalla contemplazione di questo momento chiave della fede cristiana.

Il testo neotestamentario degli Atti (capitolo 2) è stato realizzato musicalmente in modo fedele e letterale da diversi compositori, fra cui annoveriamo alcuni nomi davvero di primo piano nel repertorio sacro e liturgico: con il titolo Dum complerentur, sia Giovanni Pierluigi da Palestrina (1569) e Tomás Luis de Victoria (1572), sia il tedesco Hans-Leo Hassler (1591) ne hanno creato versioni cantate.

Si può dire che la musica sia una lingua, o un linguaggio; e, come tale, in certa misura possiamo ritenere che partecipi del fenomeno della glossolalia, ossia della capacità di esprimersi in varie lingue, citato dagli Atti come una delle manifestazioni visibili (o meglio, udibili) della presenza dello Spirito Santo. In effetti, il termine greco lalein che vi viene utilizzato può implicare non soltanto il semplice “parlare”, ma anche un emettere suoni che potrebbe avere in sé una dimensione musicale. Il legame fra questo fenomeno e la musica viene inoltre esplicitato da san Paolo (1Cor 14,7-8) che raccomanda ai cristiani, quando siano ispirati a parlare in lingue, di farsi comunque comprendere, e adduce un esempio musicale a supporto della sua preoccupazione pastorale: i flauti, le cetre, le trombe devono infatti produrre suoni intelligibili con il proprio timbro tipico.

Anche Paolino da Nola (circa 354-431), nel suo Poema XXVII, intravede una dimensione musicale nella glossolalia (o xenolalia), suggerendo che lo Spirito Santo sia come un musicista che pone in vibrazione le corde di una lira con un “plettro agile”; tali corde sono, per Paolino, un simbolo degli apostoli che parlano le diverse lingue.

Inevitabile, perciò, che il linguaggio della musica si sia, a sua volta, posto a servizio della solennità di Pentecoste, unendo in un impegno comune gli artisti delle diverse Chiese. Ancora oggi è utilizzato nella Chiesa bizantina un koinonikon di Pentecoste, basato sul Salmo 152,10, che fu composto al più tardi nell’undicesimo secolo, ma probabilmente ha origini ancora più antiche. E risale ai primi secoli del secondo millennio anche il Veni, Sancte Spiritus, sequenza latina attribuita a Papa Innocenzo III, a Roberto II il Pio o a Stephen Langton (quest’ultimo è l’autore più probabile). Il testo è stato tramandato con una melodia propria, assai bella ed elegante, che viene proposta nell’ambito della celebrazione della Pentecoste; tuttavia, molti musicisti, nella Storia, si sono cimentati con le parole della sequenza proponendone nuove versioni per i più svariati organici, e talora includendo, nelle loro creazioni, delle citazioni o allusioni al profilo melodico dell’antica Sequenza. Un catalogo delle composizioni musicali censite elenca non meno di 1600 diversi brani creati a partire dal testo del Veni, Sancte Spiritus, e la lista dei musicisti che ce ne hanno lasciato un’interpretazione comprende, a sua volta, autori fra i più importanti nella Storia della Musica. Si va dai fiamminghi Guillaume Dufay, Josquin des Prez, Adrian Willaert e Orlando di Lasso alla spettacolare versione a doppio coro di Victoria; dalla composizione luminosa e ridente di un giovanissimo Mozart (KV 47, scritta all’età di dodici anni) alla vivacità pittorica del barocco Heinrich Schütz, che “descrive” le lingue di fuoco dello Spirito con movimenti melismatici fortemente evocativi, fino alle composizioni più recenti, scritte nel ventesimo o ventunesimo secolo (Peter Maxwell Davies, John Rutter, e, nel 2006, Morten Lauridsen all’interno del suo Lux æterna).

Il Veni, Sancte Spiritus è l’unica sequenza medievale allo Spirito che sia stata mantenuta costantemente in uso, a livello ufficiale, nella Chiesa cattolica; tuttavia, molte altre sequenze allo Spirito Santo erano state composte nel medioevo, e, fra queste, spicca per bellezza e profondità quella firmata, nella componente sia testuale sia, probabilmente, musicale, da Santa Hildegard di Bingen (O ignis Spiritus).

Dalla melodia medievale del Veni, Sancte Spiritus, già adattata a un testo in tedesco prima della Riforma, Lutero trasse il corale Komm, heiliger Geist, Herre Gott, su cui, fra l’altro, Bach compose due cantate (BWV 651 e 652) e che inserì, come richiamo allusivo e senza parole, anche in un’altra cantata di Pentecoste (BWV 172). Fra gli altri usi notevoli di questa sequenza, merita ricordarne la presenza all’interno della Berliner Messe di Arvo Pärt (1990), nella quale il testo medievale riceve nuova forma musicale da parte di uno dei compositori contemporanei più spirituali e più amati.

Numerosissime sono anche le versioni musicali dell’inno di Pentecoste Veni Creator Spiritus, che, a sua volta, divenne il corale luterano Komm, Gott Schöpfer, Heiliger Geist, protagonista di un preludio corale di Bach che ricevette, nel 1922, una pregevole orchestrazione da Arnold Schönberg.

Merita infine un accenno, fra i numerosi oratori e cantate dedicati alla festa di Pentecoste, una splendida composizione, di raro ascolto, scritta da un autore purtroppo quasi dimenticato, il barocco Sebastian Knüpfer. La cantata Die Turteltaube lässet sich hören, ISK 34, da lui scritta nel 1676, ha come testo esclusivamente brani biblici (il che ne costituisce un pregio non indifferente), ed è caratterizzata da un’orchestrazione sapiente e raffinata. Se Bach non compose mai (a quanto ci risulta) un Oratorio di Pentecoste (mentre abbiamo quelli per Natale, Pasqua e l’Ascensione), un suo contemporaneo, Gottfried Heinrich Stölzel, ne firmò uno di grandi dimensioni e dalla concezione affine a quella dell’Oratorio di Natale di Bach – ossia sei cantate da eseguirsi a coppie.

Si tratta, naturalmente, solo di qualche esempio e qualche consiglio di ascolto: la fecondità di questa tematica brilla nella ricchezza di musiche ad essa ispirate, e propone innumerevoli e affascinanti percorsi di ascolto.