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Paralimpiadi. Il ct Vernole: «Ecco perché il nuoto azzurro fa incetta di medaglie»

Mario Nicoliello mercoledì 18 settembre 2024

La Nazionale italiana di nuoto alle ultime Paralimpiadi di Parigi

L’euforia derivante dai risultati degli atleti e il coinvolgimento emotivo per la passione riversata dall’intero staff da lui diretto sono sentimenti ancora dominanti nell’animo di Riccardo Vernole, nonostante siano passati ormai dieci giorni dalla conclusione dei Giochi Paralimpici. Eppure per il cinquantaseienne direttore tecnico della Nazionale italiana di nuoto è giunto il tempo dei bilanci.
Partiamo dai numeri più rilevanti. Diciassette atleti sul podio su ventotto convocati, altri sette fermatisi al quarto posto, solo uno non ha acciuffato la finale.
«Abbiamo raggiunto quello che volevano, in una manifestazione dal livello tecnico elevato, i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno dimostrato di essere cresciuti esponenzialmente».
Cosa ha imparato dalla rassegna parigina?
«Che la Paralimpiade è una cosa diversa rispetto ai Mondiali o agli Europei Open. Nei tre anni che hanno preceduto l’evento molti rivali si sono nascosti, a Parigi invece tutti hanno dato il massimo. La Cina è andata oltre le attese, la Gran Bretagna ha stupito soprattutto con le donne, noi siamo stati nettamente i migliori nel settore maschile. Venivamo da tre Mondiali e un Europeo dominati, non potevamo fallire».
L’occhio del tecnico su quale dato si è soffermato?
«Sulla freddezza degli azzurri nell’acchiappare la medaglia. Quando i nostri entravamo in finale, poi uscivano sempre tra i primi quattro. I sesti, settimi e ottavi posti sono stati pochissimi. Il mondo va avanti, ma l’Italia resta al passo e regge il cambiamento di ritmo. Non è stato un risultato banale, né scontato, perché i nomi nuovi sono arrivati e gli avversari storici si sono migliorati. In più altri Paesi hanno replicato la nostra strategia di qualche anno fa».
Cioè?
«Hanno fatto entrare a pieno titolo nel mondo paralimpico atleti che fino a poco tempo prima gareggiavano con i normodotati. Se ci pensiamo nel 2017 con Carlotta Gilli e nel 2018 con Stefano Raimondi noi siamo stati dei precursori su questo aspetto e a Parigi Gilli ha portato cinque medaglie e Raimondi sei».
Un personaggio straniero che l’ha stupita?
«Direi il francese Hugo Didier, per come si è imposto nella gara iniziale sui 400 metri stile libero S9, battendo il nostro Barlaam, che ci teneva tantissimo ad aprire con un oro. Simone voleva vincere la prima e l’ultima gara del programma, ma purtroppo all’inizio gli è andata male».
Quell’oro ha però galvanizzato il pubblico di casa, che nel corso dei dieci giorni è stato fantastico.
«Chapeau a tutti i tifosi. Hanno applaudito oltremodo i nuotatori francesi, ma non hanno fatto mancare l’affetto agli altri. Mi ha colpito quando hanno accompagnato anche l’Inno di Mameli battendo le mani a ritmo. Una cosa del genere in una competizione di nuoto paralimpico non c’era mai stata. Esibirsi di fronte a 12mila persone è un’esperienza che rimane per tutta la vita, soprattutto a chi prima di Parigi aveva gareggiato solo a Tokyo, dove il pubblico era completamente assente».
Sedici ori, sei argenti e quindici bronzi. Le trentasette medaglie complessive sono due in meno rispetto al 2021, ma le cinque vittorie in più rispetto a Tokyo conferiscono un tono trionfale alla spedizione.
«Sapevamo di essere forti, ma ci siamo esaltati nella giusta misura. Non siamo stati fortunati in nulla, abbiamo vinto dove dovevamo farlo. Abbiamo raggiunto i propositi della vigilia, quindi non possiamo che essere soddisfatti».
Lei non è propenso a fare nomi, però le si può chiedere un’eccezione? Chi l’ha particolarmente sorpresa tra gli azzurri?
«Sono felice per Manuel Bortuzzo. Subito dopo il suo incidente, tutti gli chiedevano di entrare nel mondo paralimpico e di vincere. Quasi come se fosse una passeggiata. Invece Manuel è stato forte a intraprendere il nuovo percorso nel modo corretto, capendo le peculiarità della nuotata a rana e il livello degli avversari. Il bronzo con tanto di record italiano è stata la chiusura di un cerchio, perché non era scontato esserci. Lui si è sforzato per qualificarsi e ha dato tutto per salire sul podio. Vorrei citare anche i casi di Bettella e Morelli, per i quali immaginavamo Parigi come capolinea della carriera. E invece entrambi mi hanno detto che vogliono continuare».
È facile da gestire una squadra zeppa di campioni?
«Meglio avere nuotatori forti che deboli. È fondamentale capire le aspettative di ognuno e mantenere la serenità nel gruppo. La staffetta conclusiva è stato l’emblema. Noi avevamo due squadre competitive allo stesso livello. Abbiamo scelto di mettere in apertura Raimondi e Terzi, anziché Bicelli e Scortechini, perché volevamo partire subito forte e quindi la decisione di Raimondi deriva dall’avere allo stacco il nuotatore più veloce in assoluto. Sono questi i momenti cruciali per chi decide, ma quando la scelta viene compresa da tutti allora vien fuori lo spirito di squadra».
Cosa auspica per il futuro?
«Vorrei che i riflettori che si sono accesi durante i Giochi continuino a brillare. Quindi i propositi sono almeno due. Il primo è che ci siano sponsor privati che credano nel nostro progetto e decidano di investire sul movimento. Abbiamo infatti bisogno di potenziare il settore giovanile e la preparazione dei tecnici, ma senza le dovute risorse economiche questi processi diventano complicati, perché quando il denaro è scarso occorre scegliere. L’anno scorso la trasferta al Mondiale è costata 150mila euro. È ovvio che sono risorse drenate ad altre iniziative».
E il secondo proposito?
«I prossimi Giochi paralimpici sono a Los Angeles nel 2028, ma prima ci saranno anche due Mondiali (il primo a settembre 2025 a Singapore) e altrettanti Europei, di cui quello del 2028 Open, ossia aperto a tutti. In mezzo ogni anno i nostri atleti partecipano alle World Series, una serie di meeting il cui appuntamento italiano è a Lignano Sabbiadoro in marzo. Le occasioni per seguire le nostre punte non mancano, inviterei la gente a non lasciarci da soli».