Novecento. Cosa trova un millennial nella mostra su Mike Bongiorno?
Alcune delle foto esposte in una sala della mostra
«Scusi, mi può scattare una fotografia?». Una signora sulla sessantina passa il proprio cellulare a un uomo più o meno della stessa età e si mette in posa sorridente, in una delle iconiche cabine bianche e rosse del telequiz Rischiatutto. Quando Mike Bongiorno lo conduceva, tra il 1970 e il 1974, la donna avrà avuto dieci anni o pochi di più. «Non conoscevo la storia della sua famiglia», commenta mentre riprende il telefono. «Sapevo dei suoi genitori, ma meno del suo passato da staffetta partigiana – risponde l’uomo –, è come viaggiare indietro nel tempo». È questo l’effetto della mostra “Mike Bongiorno 1924-2024”, a cura di Nicolò Bongiorno e Alessandro Nicosia, organizzata a Palazzo Reale a Milano e aperta al pubblico fino al 17 novembre. Un’esposizione immersiva, a cento anni dalla nascita del conduttore, divisa in dodici sezioni, ciascuna dedicata a una pagina della sua vita e della sua carriera. A scriverle, i materiali anche inediti raccolti e conservati dalla Fondazione Mike Bongiorno.
Entrare nella sala con le cabine di Rischiatutto, per chi l’ha visto quando andava in onda, è come tornare dopo tanti anni nella casa in cui si è trascorsa la propria infanzia. La mostra unisce la celebrazione di una memoria collettiva alla nostalgia per un’epoca e una televisione che, da un lato, appartengono al passato e, dall’altro, hanno influenzato in maniera permanente ciò che il piccolo schermo è oggi. Per quella generazione di telespettatori che per vedere i quiz di Mike si recava al bar o dal vicino di casa, il conduttore non è stato soltanto il volto più rappresentativo di quello che, allora, era il nuovo mezzo: guardare la televisione significava guardare Mike Bongiorno.
L’esposizione sembra rivolgersi soprattutto a chi è nato e cresciuto con i suoi programmi, da Lascia o raddoppia? della Rai, in onda dal 1955 al 1959, a La ruota della fortuna di Canale 5, che Mike ha condotto dal 1989 al 2003. E anche quando non si tratta di quiz, la mostra dialoga specialmente con quei visitatori che lo riconoscono come se fosse una persona cara. «Te lo ricordi?», chiede una donna a un’amica, indicando la fotografia di Mike assieme al figlio Leonardo nella pubblicità dell’Olio Cuore. «Certo. Qui invece è quando andava sul Cervino per lo spot della Grappa Bocchino», replica l’amica, come se stesse sfogliando un album di famiglia. Per chi, più che vederlo in televisione, l’ha conosciuto attraverso i racconti di nonni e genitori, oppure studiato all’università con il saggio Fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco, l’esposizione appare come un tuffo in un passato lontano e, in alcuni casi, anche poco noto. Un documentario “dal vivo” su un uomo che è stato, oltre che un conduttore, anche un innovatore e un comunicatore.
Non c’è solo amarcord: il valore aggiunto della mostra sono le sezioni dedicate a ciò che Mike era stato al di là e prima del personaggio televisivo, quello che forse anche i visitatori più maturi non sapevano di lui. Per esempio che nel 1943 era stato rimandato in matematica e durante l’estate, oltre a seguire gli eventi sportivi per il quotidiano torinese “La Stampa”, gli toccò studiare per l’esame di riparazione. Oppure che la sua passione per lo sport era dovuta in parte alla miopia: lo sci e l’atletica leggera lo aiutarono a superare la timidezza che il difetto alla vista gli procurava. A sorprendere i visitatori potrebbe anche essere il fatto che il suo rapporto con la pubblicità iniziò molto prima di Carosello, quando negli Stati Uniti lavorò alla Pettinella Advertising Company e poi alla stazione radio della Whom, dove curò pubblicità di prodotti dai nomi insoliti, come gli oli “Pace mio Dio” e “Mamma mia”, e quelle di una parrocchia di Brooklyn che voleva promuovere gli orari delle Messe. Qualcuno potrebbe stupirsi scoprendo, per esempio, che anche alla Rai all’inizio capitò di storpiare il suo nome. Mike specificava «mi chiamo Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, senza la U», ma sul numero 29 della rivista “Radiocorriere” fu citato come “Michele Buongiorno”.
Tra gli oggetti esposti spiccano quattro vinili 78 giri, gli unici esistenti su cui sono incisi i programmi di Mike per la radio statunitense, e le lettere inviate alla madre durante il periodo trascorso a San Vittore e poi nei campi di lavoro tra il 1944 e il 1945. In una in particolare, scritta il 21 ottobre 1944, Mickey – così si firmava – la rassicurava sulle sue condizioni: «Sto molto bene qui e ogni giorno sto diventando piuttosto forte. Ti scrivo comodamente seduto in una stanza calda». Poche righe, chiuse da un semplice «non preoccuparti per me», a cui sembra mancare soltanto il suo marchio di fabbrica: “Allegria!”.