Lo studio. Rossini, un miscredente? La sua musica sacra dice tutt’altro
Gioachino Rossini in un ritratto di Francesco Hayez (1870)
Non doveva essere così eterodosso il giovane Gioachino Rossini quando dalla sua mente uscivano eclettiche partiture sacre. Qualcuno le trovava così fresche e anche degne di un sigillo “ecclesiastico” da aver cancellato sulla partitura il nome del ragazzo di Pesaro e averci apposto il proprio, preceduto da un «don». Era il canonico Giuseppe Malerbi, che di Rossini è stato maestro di musica introducendolo alla studio dell’armonia e del canto. Quando «don Giuseppino», come lo chiamava Gioachino, si era trovato fra le mani la Messa composta da un adolescente destinato a diventare un genio, aveva corretto qualche passaggio, aveva appiccicato sopra al pentagramma autografo alcune strisce di carta per riscrivere una manciata di battute e alla fine se l’era autoattribuita. Così oggi troviamo il manoscritto originale della Messa di Lugo, dal luogo della Romagna in cui il cigno delle Marche la scrisse e dove è conservata: con il nome del sacerdote e la partitura alterata dagli interventi di don Malerbi. E così è stata per lo più eseguita finora, con una sorta di “mixaggio” fra le note del suo autore e quelle dell’insegnante prete. «Va riportata al suo primordiale splendore la musica sacra del giovane compositore, finita troppo presto ai margini per il successo sui palcoscenici che con le sue opere liriche Rossini aveva fin da subito riscosso», spiega il musicologo d’origine calabrese Ferdinando Sulla.
Direttore d’orchestra e docente alla Civica Scuola “Claudio Abbado” di Milano, ha una missione: ridare dignità alla “penna liturgica” andando oltre i suoi lavori più noti, dalla Petite Messe solennelle – scritta nel 1863, tre anni prima della morte – allo Stabat Mater e alla Messa di Gloria. A partire dalle composizioni giovanili. «Non esiste un Rossini minore – avverte Sulla –. C’è un “altro” Rossini, di uguale grandezza che non può essere dimenticato». Al suo fianco c’è la Fondazione Rossini di Pesaro che «con lo staff formato da Ilaria Narici, Daniele Carnini, Andrea Malnati, Catia Amati e Reto Müller è stato un modello virtuoso di competenza scientifica e sostegno umano». Il musicologo ha pubblicato con la Fondazione marchigiana l’edizione critica della Messa di Milano e del Miserere, perle di un talento poco più che ventenne. Spartiti che raccontano anche gli interrogativi di fede e l’anelito religioso di un uomo ritenuto un anticlericale perché vissuto fra Illuminismo e Risorgimento e cresciuto con un’educazione dominata da tendenze ostili alla Chiesa. «Dalle composizioni sacre – osserva Sulla – non emerge certo il volto di un pietista. Il suo era un rapporto pratico con il fattore religioso. Per lui studente, comporre musica sacra era come respirare. E non esisteva una netta distinzione con la produzione profana».
La partitura autografa del Gloria della «Messa di Milano» di Rossini conservata nella Biblioteca del Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano - Per gentile concessione della Biblioteca del Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano - Collocazione Noseda Z 17-10
C’è chi scorge nei suoi lavori un atteggiamento di scherno verso la fede, anche per lo stile teatrale con cui Rossini si approccia al testo liturgico. «È vero, ad esempio, che alcune citazioni della Messa di Milano tornano in opere come Tancredi o Aureliano in Palmira oppure che nel Miserere ci siano battute che provengono dalla Scala di seta o che riappariranno in Otello. Ma ci sono anche momenti di autentica estasi. Nel Credo “milanese” il Crucifixus ha una spiccata dimensione spirituale, testimoniata dal coro con un’impronta eterea che fa da sfondo al contralto solista e che rimanda a Bach. Nei suoi lavori Rossini alterna evocazioni mistiche, di forte rigore religioso, a passaggi più lievi».
Il musicologo e direttore d'orchestra Ferdinando Sulla - Luca Valenta
È quindi sbrigativo sostenere che il “padre” del Barbiere di Siviglia sia stato un miscredente? «Nei brani giovanili si percepisce un pathos ascetico che mostra come lui non disconoscesse il Vangelo. Non abbracciava la dottrina cattolica, ma aveva rispetto verso la Chiesa che gli derivava anche dall’aver avuto insegnanti sacerdoti. E alla fine della vita avvertì quasi il bisogno di riconciliarsi con l’assoluto scrivendo la Petite Messe, suo testamento musicale e spirituale, per la quale si rivolge persino a papa Pio IX chiedendo la speciale dispensa che consentisse l’uso di voci femminili in chiesa, al tempo vietate».
Sul mistero che ancora avvolgeva la Messa di Milano è stata fatta luce grazie ai tre anni di studio di Sulla. Come per la datazione: oggi sappiamo che risale fra il 1812 e 1813. E, analizzando l’originale conservato nella biblioteca del Conservatorio “Verdi” a Milano, il musicologo ha scoperto che è stata scritta – almeno in parte – nel capoluogo lombardo. «Il nome della Messa può trarre in inganno: ci dice dove si trova, ma non dove era stata composta». Tuttavia un foglio che Rossini ha riciclato per il Kyrie contiene il «frammento di un recitativo della Pietra del paragone concepita proprio a Milano», rivela l’esperto. Un Kyrie lombardo, quindi, e ben curato nella stesura, mentre Gloria e Credo sono più sbrigativi «con la parte conclusiva del Credo deficitaria in più punti e rimaneggiata da un copista che aggiunse alcune battute». Enigmatico il finale: la composizione si chiude con il verbo “Credo...” sospeso, quasi «intenda esprimere i dubbi spirituali dell’autore», ipotizza Sulla.
La partitura autografa del Credo della «Messa di Milano» di Rossini conservata nella Biblioteca del Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano - Per gentile concessione della Biblioteca del Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano - Collocazione Noseda Z 17-11
È invece veneziano il Miserere, commissionato – secondo le indagini del musicologo – dal conte Leonardo Grimani, gentiluomo con velleità di basso, e scritto nella Quaresima del 1813. «È un brano destinato a essere eseguito in memoria di un defunto legato a Grimani cui lui potrebbe aver reso omaggio cantando in prima persona». Nonostante l’autore lo definisca «Miserererino» in una lettera a Ricordi, nell’Ottocento veniva già ritenuto «un pezzo degno di nota». Perduto l’originale, resta una trascrizione al Conservatorio di Milano. Ma bisogna andare fra Bologna, Ravenna e Lugo se si vogliono trovare altre tre Messe rossiniane e quella summa di brevi brani sacri ribattezzata il «Vespro lughese». «Partiture da riscoprire e far rivivere eseguendole dal vivo», dice Sulla che con un prossimo tomo dell’edizione critica ai nastri di partenza si appresta a scrivere un nuovo capitolo su Rossini “sacro”.