Agorà

Le reazioni. Il gay pride olimpico continua: il fascino discreto dell'ipocrisia

Massimiliano Castellani lunedì 29 luglio 2024

L'attivista britannico Tristan Tate protesta davanti all'ambasciata francese a Londra

Il fascino discreto dell’ipocrisia parigina. Quarantotto ore dopo la superkermesse del kitsch mista a provocatoria blasfemia, alias l’apertura dei Giochi di Parigi 2024, è arrivato il goffissimo tentativo di un mea culpa collettivo da parte dello staff che ha curato la cerimonia più pazza del mondo olimpico dai tempi di de Coubertin. E alla fazione del falso pentimento ieri ha risposto un paladino, a sorpresa, del partito degli indignati (la maggioranza anche in Francia, credeteci): il leader maximo della sinistra radicale francese Jean-Luc Mélenchon. “Che senso ha rischiare di offendere i credenti? Anche quando si è anticlericali! Quella sera stavamo parlando al mondo. Quanti del miliardo di cristiani del mondo sono persone buone e oneste, la cui fede li aiuta a vivere e a partecipare alla vita degli altri, senza disturbare nessuno?”, ha tuonato Mèlenchon che ha scosso l’orgoglio tronfio e quel poco di dignità che ancora prova a mostrare l’allegra brigata situazionista al servizio del “gay pride olimpico”. La prima a dirsi pentita della deriva anticristiana è stata la direttrice della comunicazione Anne Descamps che ammette: “La nostra intenzione non era quella di mancare di rispetto ad alcun gruppo religioso. Al contrario, era quella di mostrare tolleranza e comunione. Se le persone si sono sentite offese, ci scusiamo”. A Canossa sale o fa finta di salire, anche il direttore artistico Thomas Jolly, che a dispetto del cognome però non pesca il jolly della credibilità quando dice di non essersi ispirato a L’ultima cena di Leonardo da Vinci ma di aver “preso ispirazione da Dioniso, il dio della Festa, del vino e padre di Sequana, la dea del fiume e simbolo di resistenza”. Nei Baccanali a noi sfugge una iconografia con Bacco cinto di aureola sopra la testa, come quello ideato dal designer Flávio Juán Núñez per un Gesù donna al centro della scena, impersonato dalla disinvolta ed eterea dj Barbara Butch. La quale, su Instagram conferma che si trattava di Ultima cena postando il seguente messaggio in inglese: “Oh sì! Oh sì! Il Nuovo Testamento gay!”. Un boomerang velenoso, devono avergli fatto notare dalla regia, tant’è che la Butch ha prontamente cancellato la sua genialata di cui rimane però uno screenshot che per sua sfortuna è una prova inconfutabile e che porta un termine indigesto: fa fede. Così come vanno messi agli atti le conferme dei figuranti dell’Ultima cena come la drag queen Piche che tenta una patetica difesa d’ufficio di tutto il cast della scena incriminata: “Ci sono state moltissime rappresentazioni della tavola degli apostoli e nessuno si è mai scandalizzato. Ma quando si tratta di persone Lgbt e di drag queen dà fastidio. Le persone sono ossessionate dalle questioni di genere che irritano i conservatori”. I conservatori ringraziano. Dinanzi a tanta pochezza umana e tanto spirito di contraddizione, l’unico spirito qui riconoscibile, come direbbe Nanni Moretti, progressista molto amato a Parigi, “continuiamo così, facciamoci del male!”.