Il nuotatore. Barlaam, il fuoriclasse e l’arte di vincere in acqua. «La mia passione»
Il nuotatore azzurro Simone Barlaam, 24 anni, oro paralimpico nei 50 stile a Tokyo 2020, ma svolte nel 2021
A Tokyo 2020 (disputate nel 2021) vinse i 50 stile, fu secondo nei 100 farfalla e nella staffetta veloce, nonché terzo nella 4x100 mista. Nel suo palmarés figurano 19 titoli mondiali e 15 podi europei e nel 2023 ha ricevuto il Para Awards, il maggior riconoscimento conferito dal Comitato paralimpico internazionale, quale miglior atleta maschile negli sport estivi. Il ventiquattrenne milanese Simone Barlaam è la punta del nuoto azzurro e la sua seconda Paralimpiade potrebbe regalargli la definitiva consacrazione sul palcoscenico internazionale.
Simone, come è arrivato a Parigi?
«Carico e motivato, con tanta voglia di fare bene e divertirmi. Stavolta voglio godermi l’esperienza a tutto tondo, evitando gli errori di Tokyo, dove non sono riuscito a viverla come avrei voluto».
Quali gare affronterà?
«Le solite cinque individuali e poi le staffette che mi faranno fare. Nuoterò 50, 100 e 400 stile libero, 100 dorso e 100 delfino nella categoria S9».
Vuole spiegare il significato di S9?
«S sta per swimming, ossia nuoto, 9 indica invece il livello della disabilità. Quella fisica è ordinata in maniera decrescente di gravità da 1 a 10, nella 11 sono i non vedenti, 12 e 13 gli ipovedenti e 15 i disabili intellettivi. La mia è quindi una disabilità meno impattante rispetto alle altre. Competo con atleti con amputazioni ad un arto inferiore o superiore».
Lei è nato con una coxa vara e una ipoplasia congenita del femore destro, come si è avvicinato al nuoto?
«Era l’unico sport che potessi praticare senza mettere a rischio il femore, considerata la mia disabilità. In acqua mi sento leggiadro, libero, forte ma tuffarmi la mattina presto nella piscina ghiacciata, di inverno, mi pesa molto».
A quali sportivi si ispira?
«Ho tanti riferimenti, da Alex Zanardi a Natalie Dutoit, mentre in Nazionale il mio mentore è Federico Morlacchi, una sorta di fratello maggiore che mi ha fatto crescere e aiutato a diventare quello che sono».
Cosa le ha donato l’ambiente del nuoto paralimpico.
«Stupendi momenti di condivisione con tantissime persone e la possibilità di poter girare il mondo».
Cosa significa far parte della squadra attualmente più forte al mondo?
«È qualcosa di bello. Siamo vincenti perché il nostro gruppo è unito e coeso. Quando ho cominciato non mi sarei mai aspettato una crescita così esponenziale del nostro movimento, ce l’abbiamo fatta perché tutti, sia gli atleti sia i tecnici, hanno accettato la sfida e hanno lavorato duramente».
Cosa è cambiato dagli inizi fino ad oggi?
«Direi tutto. A cominciare dalla visibilità e dalle attenzioni riposte nel movimento, continuando con i numeri dei praticanti, per poi citare la dignità raggiunta dagli atleti paralimpici e l’incrementato interesse dei media attorno al nostro mondo».
Quale pensa sia stato il momento spartiacque?
«L’ingresso di noi paralimpici nei corpi militari. Ormai siamo atleti professionisti, lo sport è il nostro lavoro».
Qual è la sua giornata tipo?
«Sveglia alle 6. Primo allenamento in vasca dalle 7.20 alle 9.30, quindi palestra. Pranzo, riposo e secondo allenamento in piscina dalle 18 alle 20. Cena, svago e a letto entro le 23. La domenica riposo, quando non ci sono gare. Mi sento fortunato a poter fare ciò che mi piace, quindi i sacrifici non mi pesano».
Quanti chilometri nuota in un anno?
«Per avere il numero preciso dovreste chiedere al mio allenatore Massimiliano Tosin, non ho mai fatto il calcolo. Più o meno in una settimana ne farò una cinquantina».
Quali sono i centri nevralgici della sua vita?
«Sono nato e vivo a Milano. Mi alleno o in via Mecenate o al nuovo centro Cambini. Adesso sono tesserato per le Fiamme Oro, mentre il mio primo club civile è stato la Polha Varese».
Si tratta di impianti dove si allenato anche i nuotatori olimpici?
«Si, confermo. Ormai l’integrazione tra i due mondi è sempre più tangibile, specialmente nel caso di disabilità meno impattanti. Ovviamente ognuno ha propri obiettivi e finalità».
Che messaggio intende lanciare alle persone con disabilità?
«Gettare il cuore oltre l’ostacolo, tentando di provarle tutte fino a che non si trovi davvero ciò che appassiona. Vivere la vita col sorriso e non vergognarsi della propria condizione».
Si considera come uno dei principali testimonial del nuoto paralimpico in Italia?
«Cerco di fare la mia parte per far conoscere il nostro mondo e mi fa piacere raccontarmi quando la mia storia può essere di ispirazione per gli altri».
Lei ha una valanga di interessi, dal disegno all’arte, dai pesci alla tecnologia.
«Lo stesso approccio ce l’ho con il mio corpo, perché ho sempre valorizzato gli aspetti migliori. Fin da piccolo mi piaccio a tutto tondo e non mi condizionano certo i giudizi degli altri espressi sui social».
Qual è il suo hobby preferito?
«La più grande passione della mia vita dopo il nuoto è il disegno. Adoro cimentarmi con penna, matita e inchiostro. Adesso mi sto divertendo con la fumettistica in bianco e nero».
Sfilerà durante la cerimonia d’apertura?
«No, perché purtroppo mi toccherà tuffarmi in acqua poche ore più tardi per la mia prima batteria. Purtroppo anche qui come a Tokyo sono costretto a rinunciare. Spero però di poter partecipare alla chiusura. La cosa che mi piacerebbe fare è vivere dentro il villaggio in maniera piena, aspetto che in Giappone c’è mancato a causa del Covid».
Tornerebbe a casa soddisfatto se…
«Se riuscissi a godermi la Paralimpiade in tutta la sua bellezza. Esserci è un privilegio, ma viverla al meglio è ciò che fa la differenza».