Philippe Delisle, storico del fumetto dell’Università di Lione, si è già reso noto per un corposo saggio – recensito su
Avvenire dello scorso 3 aprile – sulle origini cattoliche della "scuola belga", cioè di una delle tre grandi scuole del Novecento nel campo dei fumetti, insieme a quelle americana e giapponese. Delisle pubblica ora un nuovo volume,
De Tintin au Congo à Odilon Verjus. Le missionnaire, héros de la BD belge (Karthala, Parigi 2011), in cui sviluppa un altro aspetto della sua tesi. Una delle ragioni del successo dei fumetti è il loro esotismo. In gran parte sostituendo i romanzi di Emilio Salgari (1862-1911) e di altri autori di avventure, il fumetto europeo ha avuto la sua epoca d’oro subito prima e subito dopo la Seconda guerra mondiale, riuscendo a far sognare ai ragazzi terre lontane in cui, in un’epoca precedente ai viaggi organizzati di massa, ben pochi dei giovani lettori e neppure dei loro genitori erano stati. Se ci si riferisce alla scuola belga, che però ha avuto un’enorme influenza su tutto il fumetto internazionale per la sua riconosciuta eccellenza, anche l’esotismo – sostiene ora Delisle – ha un’origine cattolica, che la storiografia specializzata ha di rado riconosciuto.In Belgio come in tutta Europa gli anni fra le due guerre mondiali vedono una diffusione di massa della letteratura cattolica sui missionari, in parte rivolta anche ai ragazzi, e di tutta una serie d’iniziative come i salvadanai nei negozi e nei ristoranti – alcuni scomparsi solo recentemente – per raccogliere fondi per le missioni. Lo scopo di queste attività era duplice: sostenere i missionari dal punto di vista finanziario e suscitare vocazioni. Delisle mostra come l’iconografia delle campagne di sostegno alle missioni e dei fascicoli illustrati cattolici passa qualche volta direttamente nei classici del fumetto belga. L’autore attira l’attenzione su un avvenimento particolare, l’Esposizione delle Missioni Cattoliche Belghe al Palais d’Egmont di Bruxelles nel 1924. Alcuni dettagli dei manifesti e dei cartelloni della mostra si ritrovano quasi letteralmente nelle opere dei due padri fondatori della scuola belga, Hergé (Georges Remi, 1907-1983), il creatore di Tintin, e Jijé (Joseph Gillain, 1914-1980), uno degli autori di Spirou.Delisle sottolinea l’importanza capitale per il passaggio dall’esaltazione dei missionari all’esotismo tipico dei fumetti di un classico tra i classici,
Tintin au Congo di Hergé, pubblicato originariamente dal 5 giugno 1930 al 18 giugno 1931 sul
Petit Vingtième, supplemento per ragazzi del giornale cattolico belga
Le Vingtième Siècle. La figura positiva del missionario con talare bianca, casco bianco antisole e barba bianca – nello stesso tempo saggio, audace e avventuroso – si ritrova in decine di fumetti successivi. Lo stesso Hergé tornerà sui missionari, in tutt’altro contesto geografico, in un episodio del 1939 di un’altra serie, dedicata ai personaggi di Jo e Zette, facendo loro visitare una missione al Polo Nord. Quanto al cattolicissimo Jijé, si comprende come i missionari ritornino spesso nella sua opera, che si tratti di personaggi di fantasia o di figure sante della storia come il beato Charles de Foucauld (1858-1916). Alla sua vita a fumetti firmata Jijé Delisle affianca giustamente il successo di quella di san Francesco Saverio (1506-1552) dell’allora giovane gesuita Pierre Dufoux, che diventerà in seguito un affermato ceramista, e cui sarà peraltro dedicata nel prossimo ottobre una mostra a Godinne, in Belgio. I missionari sono anche rappresentati spesso nella serie
Tif et Tondu di Fernand Dineur (1904-1956) – nel tono umoristico che è proprio dell’autore, ma con grande rispetto – e passano pure nei fumetti realistici di avventura come quelli della serie sull’Australia
Sandy et Hoppy creata dal fratello di Jijé, Henri Gillain (1913-1999).Come nell’opera precedente, Delisle fa notare i limiti della rappresentazione del missionario nel fumetto classico – che nasce in un clima di entusiasmo un po’ retorico per il colonialismo belga – e la sua progressiva scomparsa nell’epoca della "secolarizzazione" del fumetto di lingua francese, specchio della secolarizzazione della società, negli anni 1960. Mentre Hergé, dopo la perdita della fede dovuta anche a vicende personali, ripubblicherà l’episodio di Jo e Zette al Polo Nord sostituendo il missionario con uno scienziato, negli anni 90 le serie classiche sui missionari avranno una versione parodistica con Odilon Verjus, un missionario rissoso e poco rispettoso delle gerarchie – ma il cui cognome evoca l’eroico apostolo dei Papua, il vescovo nato a Oleggio (Novara) Stanislas Henri Verjus (1860-1892) – messo in scena da Yann Le Pennetier e Laurent Verron. L’anticlericalismo di questa serie, sottolinea Delisle, non va sopravvalutato: molti missionari affermano, al contrario, di averne apprezzato l’umorismo che non diventa mai veramente anticattolicesimo. Ma le parodie sono già di per sé il segno di tempi ormai mutati.