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Cinema. Il fascino del West secondo Kevin Costner

Alessandra De Luca giovedì 4 luglio 2024

Una scena di “Horizon - An american saga”, prima puntata della nuova epopea western firmata da Kevin Costner

Il senso di Kevin Costner per il western risale agli anni dell’infanzia, quando a soli sette anni si innamorò di John Ford e del suo L’uomo che uccise Liberty Vallance. Mentre La conquista del West, che tra i registi, oltre a Ford, vede anche Henry Hathaway, George Marshall e Richard Thorpe, gli mostrò l’essenza stessa del cinema. Dopo essere stato il protagonista di Silverado e Wyatt Earp di Lawrence Kasdan e della serie tv Yellostone (definitivamente abbandonata non senza controversie), e dopo aver diretto (e interpretato) Balla coi lupi e Terra di confine - Open Range, il 69enne attore e regista californiano torna sul grande schermo con la prima puntata di un’epopea western in quattro parti, Horizon – An American Saga, scritto con Jon Baird, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes e nelle sale con Warner da oggi. La seconda parte invece arriverà il 15 agosto. Horizon è il nome un insediamento nella valle del fiume San Pedro, costruito sui territori delle tribù Apache. È dal 1998 che Costner pensava a una storia sull’espansione del West che ripercorresse gli anni a cavallo della Guerra Civile americana, quando il colonialismo bianco si affermò a discapito delle popolazione indigene. In questa determinazione il regista, che ha inseguito un sogno per decenni anni e ha coprodotto il film, non è molto distante da Francis Ford Coppola che con Megalopolis si è preso enormi rischi finanziari sborsando di tasca propria 120 milioni di dollari. Costner, già sul set del terzo capitolo della saga, supererà i 100 alla fine del quarto film, mettendo a rischio la sua proprietà di oltre 4mila ettari a Santa Barbara e rinunciando al proprio salario per tre o quattro anni. Al suo fianco in questa ciclopica impresa ci sono Sienna Miler, Sam Worthington, Luke Wilson, Jena Malone, Isabelle Fuhrman, Thomas Haden Church, Jamie Campbell Bower e Michael Rooker. Nel primo capitolo il regista rievoca il vecchio West e tutti i suoi cliché - cieli aperti, paesaggi sconfinati, canyon, cowboy, pionieri, fuorilegge, fucili e pistole – perché se in Balla coi lupi guardava a un western crepuscolare, rivisitato in chiave più contemporanea, in Horizon ne esplora tutto il fascino antico, riavvicinandosi alla tradizione del genere e incrociando più linee narrative che seguono diversi personaggi - una vedova in lotta per la sopravvivenza dopo una tragedia, lo scontro di un venditore e di sua moglie con un’altra famiglia, una coppia britannica conquistata dalla promessa del West, un misterioso massacro – per mostrare come l’uomo bianco si sia insediato in quelle terre spremendo sangue, sudore e lacrime dei nativi. « Ho pensato che fosse arrivato il momento di offrire al pubblico la mia visione di quella pagina di Storia attraverso un’opera popolare, non pensata per il weekend di apertura nelle sale, ma per una vita intera. E non sarà il denaro a controllarmi. Horizon è esattamente ciò di cui voglio che il mio cinema parli ed è il film che avrei voluto facessero per me. Un buon western deve essere complesso, mettere qualcosa di grosso in gioco, avere compassione, epica, errori fatali, scontri a fuoco e umorismo». «Gli Europei avevano capito – continua - che oltreoceano c’era una vastissima terra promessa, una sorta di Giardino dell’Eden. Non avevano fatto i conti però con l’esistenza di popolazioni che lì fiorivano da 15mila anni. Per realizzare dunque un western autentico non si può non raccontare la storia di chi c’era prima di noi. Non possiamo dimenticare che i nativi americani, abituati a vivere in equilibrio e armonia, sono diventati un ostacolo sebbene vivessero nel proprio paese. Hanno dovuto lottare per sopravvivere, per proteggere la loro religione, la loro cultura, i loro figli. Abbiamo gettato quel mondo nel caos e loro non si sono più ripresi da una violenza che porta le nostre impronte digitali. Per me e i miei attori è stato un viaggio straordinario, ma perché questa saga funzioni dovrà essere completa nelle sue quattro parti». Sono decenni che Costner conduce ricerche approfondite su quel periodo storico («Sono stati di grande ispirazione i dipinti e le foto dell’epoca») e quello che nel 1998 doveva essere un singolo film è stato riprogettato e ampliato. « Arriveranno anche le sparatorie, ma mi piace tutto quello che sta in mezzo tra quelle, la vita vera vissuta da persone reali, perché il West non era Disneyland, ma una realtà molto difficile. Ci sarebbe materiale per raccontare anche una quinta storia, che forse, un giorno, chissà...». A proposito del suo personaggio, Hayes Ellison, racconta: «È iniziato tutto nel 1988, prima di Balla coi lupi. Hayes e io abbiamo molto in comune e Hayes si chiama anche uno dei miei figli, che nel film interpreta il ragazzino deciso a non lasciare suo padre. Non aveva mai recitato prima, ma volevo che fosse con me quando sarei stato lontano da casa e dalla mia famiglia». Sugli ostacoli da superare per raggiungere il sogno di una vita, commenta: «Sinceramente non pensavo sarebbe stato così difficile realizzare Horizon, convincere la gente a investire dei soldi. È stato come spingere un masso in salita. Non penso che i miei film siano migliori di quelli di chiunque altro, ma al tempo stesso sono convinto che quelli di nessun altro siano migliori dei miei. Faccio cinema per me, certo, ma soprattutto per le persone, e le cose che amo di più sono sempre le più difficili da realizzare. Il fatto è che non mi disamoro mai del cinema e dei miei progetti. Quando le luci si spengono in una sala può accadere davvero qualcosa di straordinario. Non ci sono altri impegni in quelle ore, non dobbiamo andare al lavoro né accompagnare i figli a scuola, non dobbiamo fare nulla, solo concedere una possibilità alla magia del cinema in una stanza buia, che abbiamo conosciuto da piccoli, dove i nostri genitori ci permettevano di andare anche da soli, perché per qualche ragione le sale erano considerate luoghi sicuri. Luoghi dove molti di noi hanno imparato a baciare e a sognare ».