Testimonianze. Il dovere filiale di ricordare Anna Politkovskaja
La tomba di Anna Politkovskaja nel cimitero Troekurovskij di Mosca
«Mia madre non amava l’adrenalina di certi giornalisti maschi che giocano alla guerra. Lei partiva per testimoniare, per ascoltare le vittime, per dare parola al dolore. “Io sono come un poeta. Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo” mi diceva». Così Vera Politkovskaja racconta (Vera Politkovskaja con Sara Giudice, Una madre. La vita e la passione di Anna Poliktovskaia, Rizzoli, pagine 193, euro 19,00) la sua straordinaria madre, perduta nel vile omicidio di cui Anna Politkovskaja fu vittima il 7 ottobre 2006 nella sua casa moscovita, uccisa da un mandante ancora sconosciuto ma che tutti riconoscono nel governo di Putin. Uccisa per la sua libertà d’espressione di giornalista, morta per il suo amore della realtà e della verità. Lei, la giovane Vera, al tempo era una figlia sempre ammirata e preoccupata dell’impegno materno, così rigoroso, sempre vigile, “maniacale”, ma anche pericoloso. Al tempo dell’agguato alla madre, Vera a sua volta stava per diventare madre, ed è stato con la figlia adolescente (Anna, in memoria della grande nonna) che il 24 febbraio 2022, allo scoppiare della guerra dopo l’invasione dell’Ucraina, ha preso il cammino dell’esilio, scegliendo un nuovo Paese segreto dove poter vivere. Di laggiù, da quel luogo nuovo e lontano, Vera ricorda sua madre e scrive di lei, corredando il racconto di fotografie belle e commoventi.
Scrive della Anna Politkovskaja moglie, madre, eccezionale giornalista, di lei che in più di una circostanza prima di trovare la morte l’ha lambita, in Cecenia, in viaggio, lei temuta, pedinata, minacciata, per i suoi articoli e per le sue parole, per il suo coraggio e per la sua determinazione a restare, sempre e soprattutto, accanto all’umanità dei deboli. Di laggiù dove si è rifugiata per vivere, ora che la sua Russia è di nuovo, esattamente come dopo il 1991 con l’arrivo di Putin e la fine delle Perestrojka, un Paese stravolto da un regime ipocrita e feroce, omaggiare la memoria di Anna Politkovskaja per la figlia Vera diventa un imperativo, intimo e politico insieme, personale e assolutamente pubblico, insieme. Perché ad Anna Politkovskaja non si pensa abbastanza (“mantenere la memoria di persone come mia madre è pericoloso”) e perché l’allarme attuale, la guerra che c’è adesso, lascia interrogarsi su come sarebbe lo sguardo di Anna oggi, sguardo di lei che nitida e profetica aveva saputo vedere benissimo “l’abisso” in cui il potere dato a Putin, la sua “miopia politica”, avrebbero gettato e affossato la Russia. Il tracciato dei ricordi riuniti in questo libro si mostra necessario e potente in forma duplice.
La figlia costruisce una memoria di cosa è stato per sua madre il lavoro, la famiglia, l’amore, vivere, e lo fa con cuore gonfio e immenso orgoglio filiale; ma al tempo stesso, nelle pagine di Vera vibra un monito, un grido accorato come un pianto su cosa è, e sarà la Russia, quel Paese cui Vera, lei anche giornalista, pensa con disperazione. Lo descrive flagellato sotto il peso di una repressione che occulta, che arruola soldati con l’adescamento e l’inganno, che rende fosche le prospettive per generazioni intere e i più giovani in ispecie, ma anche per la generazione di sua madre, quella di coloro che hanno conosciuto la Perestrojka e in essa hanno sperato, prima che tutto non sprofondasse. Così, nel doppio ritmo di questo cammino all’indietro, il ricordo intimo della tragedia vissuta da figlia, nel libro di Vera Politkovskaja si alterna a riflessioni e cronache del presente, un presente di guerra, un presente che rende irriconoscibile e non più abitabile il proprio Paese. “Il mancato rispetto” si è trasformato in pericolo, la figlia Anna adolescente, a scuola, lo scorso anno, ha ricevuto insulti e minacce. Quell’essere sempre pronti a fuggire, scappare per difendersi che Anna Politkovskaja (lì anche, come già sapendo quale sarebbe stata la sua fine) aveva insegnato ai figli, a Vera e al fratello Ilja, per Vera adulta diventa realtà.
Abitata dai ricordi ma anche da nuove angosce e timori, scappa via, altrove. Ricostruire e narrare la vita esemplare di sua madre è piangere un tempo perduto, senza più tracce. Persino la dacia di campagna, dove Anna Politkovskaja con il marito e i figli tanto amava stare, viene bruciata per un incendio doloso che a distanza di anni torna a oltraggiare la sua memoria, a voler calpestare e azzittire il senso profondo della sua vita di strenuo lavoro, strenuo scrivere, strenuo guardare in faccia la violenza della morte, del sopruso, la tragedia di un intero Paese. Alberi ed erba sono tornati a fiorire intorno alla dacia bruciata: il ricordo non muore, lo sguardo penetrante e lucidissimo di Anna Politkovskaja è lì a dircelo nelle fotografie. Nulla sfugge a quello sguardo. Il suo amore per la verità, quello per cui è stata uccisa, non si dimentichi.