Giorno della Memoria. Il dilemma di Primo Levi fra ordine e caos
Dettaglio della mappa del lager tracciata di suo pugno da Primo Levi con l'annotazione: "Storie di uomini senza nome"
«Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». A rigore queste parole Primo Levi non le ha mai pronunciate. Compaiono, aggiunte 'a matita', nel testo dattiloscritto della celebre serie di interviste raccolte da Ferdinando Camon tra il 1982 e il 1986. Coerentemente, nell’audiolibro di Conversazione con Primo Levi ora realizzato da Salani (disponibile in www.salani.it e nei principali negozi online) la frase non è affidata a Moni Ovadia, che dà voce allo scrittore torinese, ma a Gad Lerner, che ricopre il ruolo dell’intervistatore. L’affermazione che Levi attenua con il post scriptum riguarda le sue convinzioni religiose, polverizzate dall’esperienza del Lager. «C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio» è il sillogismo elementare che, in virtù dell’ultima annotazione, si trasforma in un 'dilemma' che è nello stesso tempo rovello personale e scandalo collettivo. Siamo nel territorio «tra ordine e caos», come efficacemente sintetizza il titolo di uno dei capitoli di Primo Levi. Il laboratorio della coscienza (Interlinea, pagine 244, euro 20), la raccolta di saggi con la quale l’italianista Giovanni Tesio ribadisce la sua lunga fedeltà nei confronti dell’autore di Se questo è un uomo. Anche Tesio ha intrattenuto con lo scrittore un dialogo costante, che avrebbe dovuto portare alla stesura di una 'biografia autorizzata' che invece non vide mai la luce. I materiali preparatori (editi nel 2016 con il titolo Io che vi parlo) sono riportati a più riprese nel volume di Tesio, che attinge abbondantemente al vasto repertorio di interviste ormai entrato a far parte del lascito letterario di Levi, come conferma il terzo volume delle Opere complete allestito da Marco Belpoliti per Einaudi nel 2018. È una molteplicità che non sarebbe dispiaciuta allo stesso Levi, questa fra tradizione scritta e tradizione orale, con l’aggiunta del patrimonio iconografico che lo stesso Belpoliti sta da tempo scandagliando e che adesso trova ulteriore sistemazione nel suo Photo Levi (Acquario, pagine 128, euro 20), singolare esempio di critica letteraria applicata alle immagini. Non per niente, l’'anfibio' Levi, metà chimico e metà scrittore, ovvero rappresentazione vivente della felice conciliabilità tra le famigerate 'due culture', si riconosceva volentieri nell’emblema del centauro, altra creatura di confine che si muove sul crinale insidioso della contraddizione o, meglio, dell’interpretazione. Prendiamo, appunto, la questione dell’ordine e del caos. Istintivamente attratto dalla facoltà raziocinante dell’essere umano, Levi non può fare a meno di registrare la persistenza di qualcosa di incomprensibile e minaccioso, che nel suo continuo ribollire riesce ad assumere la forma parodistica di una finzione d’ordine. L’aberrazione di Auschwitz poggia anche sul paradosso di un’organizzazione perfetta e, in apparenza, perfettamente razionale, la cui analisi costituisce lo spunto iniziale del libro che poi diventerà Se questo è un uomo. «La ragione di Levi non serve a rimuovere l’ostacolo ma ad affrontarlo», osserva Tesio fornendo un’indicazione di metodo che può essere applicata anche agli altri aspetti presi in esame dallo studioso. I meccanismi della memoria, l’etica del lavoro, la passione per l’alpinismo sono alcuni dei tasselli del mosaico centauresco che fu l’esistenza di Levi. Su tutto, prevale lo sguardo del narratore e anche del poeta, considerata l’importanza che Tesio giustamente assegna ai versi di Ad ora incerta, libro tutt’altro che minore all’interno della vicenda destinata a culminare nella magnifica ricapitolazione di I sommersi e i salvati. Allo stesso modo, Tesio si sofferma in maniera puntuale sugli autori più amati da Levi, il Dante della Commedia (che gli fornisce in particolare gli strumenti linguistici per descrivere il panorama infernale dei campi di sterminio) e il Manzoni dei Promessi sposi, la cui riflessione sulla natura contagiosa del male contribuisce all’individuazione della 'zona grigia' nella quale il perseguitato si illude di poter venire a patti con il persecutore. E non meno rilevante è la funzione esercitata dalla Bibbia, nonostante Levi si proclami lettore discontinuo delle Scritture. In complesso, la figura che emerge dal Laboratorio della coscienza è quella di un autore che ama procedere per rispecchiamento. La letteratura stessa diventa il dispositivo che, per 'approssimazione' (altro lemma decisivo), consente di andare al cuore della realtà. Mediante la testimonianza personale, certo, ma anche mediante il racconto d’invenzione, lungo la linea che da Storie naturali arriva al cantiere romanzesco di Se non ora, quando? Del resto, anche l’obiettivo fotografico è un tipo particolarissimo di specchio, circostanza questa che rende ancor più pertinente e penetrante il percorso suggerito da Belpoliti in Photo Levi. Disposte in ordine cronologico, dagli anni dell’adolescenza fino alla vigilia del suicidio, le istantanee di cui lo scrittore è protagonista vengono a indicare una serie di snodi contraddistinti, una volta di più, dalla compresenza di almeno due livelli differenti: chimica e letteratura, riservatezza e impegno pubblico, timidezza e allegria. Che Levi potesse essere definito 'schivo' e insieme 'umorista' è una circostanza sulla quale lo stesso Tesio insiste molto, sulla scorta del toccante necrologio composto da Massimo Mila in memoria dell’amico nel 1987. Fra tanti specchi e fra tante duplicazioni, quella che più rimane impressa riguarda un frammento di poesia, Soldato, che Belpoliti spiega di aver ricavato dall’ingrandimento della foto di Mario Monge nella quale Levi sta, in controluce, davanti allo schermo del computer: «Se li vedrò sparerò, / Loro faranno altrettanto. / Non sapremo perché, / Non ci saremo mai visti in viso». Anche questo 'non sapere' è un dilemma. Anzi, l’unico dilemma che conti: perché l’essere umano scelga di vedere nell’altro un nemico da eliminare, anziché rispecchiarsi nel suo viso.