Agorà

LA SFIDA DEL MALE. Il demonio? Oggi si chiama ideologia

André Glucksmann domenica 24 ottobre 2010
Uno stuolo di specialisti insegna che le ideologie hanno fatto il loro tempo. Non ci credo. Un ideologo altro non è se non un arrogante che partorisce una tesi sufficientemente "fondamentale" per avere una risposta a tutto e che, appollaiato su questa pietra filosofale, compita dall’alfa all’omega ogni dramma umano. Siamo immersi nell’ideologia, che cava gli occhi come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, al punto che la sua evidenza impedisce di scorgerla. Non condividiamo la convinzione ultima che il diavolo non esiste? Poiché questo personaggio ha perso grinfie, coda, corna e alito cattivo, concludiamo con ipocrisia che abbia testé ingoiato il certificato di battesimo. La morte di dio si presta a dibattiti. La morte del diavolo non solleva grandi contestazioni, sembra andare da sé. Chi, nelle nostre indulgenti democrazie, si esporrebbe all’obbrobrio di apparire tanto oscurantista da sostenere che resistere al male costituisca la sfida più profonda della condizione umana! Agli occhi dei benpensanti sussistono ancora avversioni puntuali: da una parte le emissioni di CO2 e gli Ogm, dall’altra l’aborto e l’omosessualità. Ma nessuno dubita che questi supposti mali, se ancora non sono stati eliminati, possano esserlo. Il diavolo è morto, vi dico. Solo i nostri impegni quotidiani possono sradicarne pompe e opere. Una crisi intorbida la schiuma dei giorni? Ciascuno corre a rifugiarsi nel verde paradiso degli amori infantili. Gli uni pretendono di ritornare a un’età dell’oro regressiva; i religiosi rimpiangono il tempo benedetto in cui dio reggeva l’universo, regolava le coscienze e interdiceva l’usura, mentre i politici diventano nostalgici, sognando un passato utopico in cui lo stato, i sindacati e il civismo escludevano derive affariste. Chi ha rubato i nostri "trenta" gloriosi? Altri programmano l’avvenire di uno sviluppo durevole sorvolando turpitudini e rivalità. Altri ancora si aggrappano alla grande sera perorando una rivoluzione più indefinibile che mai, salvo promettere la fine del Belzebù capitalista e produttivista.Sia in caso di infelicità sia in caso di felicità, la nostra buona novella, una e indivisibile, suona l’ora della scomparsa programmata dei rischi, dei pericoli e delle catastrofi. Lo zelota di una così confortante certezza perdoni i miei cattivi pensieri. Fate rullare i tamburi e salutate Goethe: Mefisto è resuscitato! Non il piccolo diavolo della contessa di Ségur, ma una forza distruttrice il cui affabile garbo era solo la penultima astuzia che precedeva l’imparabile finzione di darsi per morto. Niente a che vedere con le contraffazioni sataniste che con i loro effetti speciali danno vita alla languida anima degli spettatori; inutile rievocare le messe nere degli ubriaconi e degli imbecilli che macchiano i cimiteri. Per farvi dell’avversità un’idea meno sempliciotta, rammentate Tifone, diavolo pre e postcristiano, l’ultimo titano che tentò di svellere l’Olimpo. Zeus, Giove tonante, gli scaraventò l’Etna in piena faccia e poi lo rinchiuse sotto terra e nel cuore degli uomini; a condizione che i poveri mortali affrontino, d’ora in poi da solo a solo, le devastazioni di cui si fanno freccia e bersaglio. L’intimo nemico dei socratici antichi e moderni è il prestigiatore, sofista o postmoderno, che si dedica a travestire gli istinti di morte da passioni anodine. «Per la sofistica [...] tutto ciò che è per noi è vero, niente è falso [...] secondo questa tesi innocente, non c’è vizio, non c’è reato, ecc.» (Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia). Il "sofista egizio" Proteo sommerge i semplici mortali con una spessa bruma in cui destinazioni e riferimenti svaniscono a beneficio di una confusione senza sponde, una fitta coltre mantenuta con cura che dà riparo ai nostri nidi di vipere. Quale rapporto tra la crisi economica mondiale, i massacri del Darfur che subentrano allo spietato annientamento dei ceceni, le bombe umane, i record di corruzione e il persistere delle crudeltà nelle nostre prospere e tranquille società? Il rapporto siamo noi. Attiene alla nostra inalterabile sorpresa costellata dal ricorrente interrogativo: «Come sono possibili simili incongruità? Nel nostro così civilizzato e mediatizzato ventunesimo secolo?». Il ritorno tossico, cupido, stupido o guerriero di un Mefisto dai mille volti ottunde chi voglia ignorare che il caro scomparso non ha mai smesso di starci alle calcagna.