Agorà

Filosofia. C’è vita nei meandri del Cioran tragico

Simone Paliaga domenica 15 settembre 2024

Un giovane Emil Cioran

«Se corressi come un pazzo alla ricerca di me, chi mi dice che non m’incontrerei mai? Su quale terreno abbandonato dell’universo mi sarò smarrito? Andrò a cercarmi là dove si ode la luce... perché, se ben ricordo, ho mai amato altro che la sonorità delle trasparenze?». Un homme en quête, si potrebbe descrivere così la missione del poeta secondo la tradizione trobadorica. E lo stesso si potrebbe scrivere di Emil M. Cioran (1911-1995), autore delle righe citate all’inizio. È questa la Stimmung, l’atmosfera, che accompagna il cammino di pensiero dello scrittore romeno, ma parigino per la gran parte della vita, difficilmente classificabile tra le correnti filosofiche del Novecento. Altre prospettive adottate spesso per descriverlo mancano il bersaglio. Inquadrarlo tra i moralisti à la française, i pessimisti, gli scettici, i nihilisti rischia di sviare. Se questi aspetti all’apparenza trasudano dai suoi aforismi e dalle sue scintillanti folgorazioni, essi non sono altro che espressione di una quête, di una ricerca che, per Cioran, non ha mai avuto termine. Lo conferma Il crepuscolo dei pensieri (pagine 238, euro 20,00), la raccolta di fulminanti argomentazioni di Cioran che l’editore Adelphi manda in libreria dal 24 settembre, tradotta meravigliosamente da Cristina Fantechi.

Affondare nei meandri aperti dall’autore in questo libro reso adesso per la prima volta in lingua italiana non equivale a precipitare nel pessimismo. Convincersi del contrario comporterebbe il travisamento del suo cammino di pensiero. Seguire l’annodarsi dei suoi pensieri, come accade anche con gli altri testi di Cioran, significa esercitarsi nell’esperienza del tragico. Un po’ come Sisifo, Cioran è inarrendevole nei confronti della vita. La differenza è che il titano espia la sua protervia mentre Cioran si prepara alla vita. «Lo strappo dall’essere rende malati di se stessi, sicché basta pronunciare parole come “oblio”, “infelicità”, “separazione” per dissolversi in un brivido mortale. E allora per vivere si rischia l’impossibile: si accetta la vita». Al cospetto della quale però non si pone con atteggiamento rassegnato ma con attitudine tragica. «Quanto all’uomo, che a partire da Adamo cerca il suo destino, la lotta con il male gli ha conferito una certa dignità – ammonisce Cioran –. Il suo fallimento ha qualcosa di confortante e di eroico; non essendo presente in quanto essere, non avendo alcun posto nell’esistenza, egli si è fatto una condizione della sua mancanza di condizione, di modo che nessuno è in grado per ora di dire se l’uomo è qualcosa, un niente o un tutto».

Pubblicato per la prima volta nel 1940, Il crepuscolo dei pensieri fu l’ultimo testo che Cioran pubblicò nella sua lingua materna prima di sigillare, dopo già dieci anni di permanenza nell’Esagono, il suo esilio esistenziale adottando il francese. Per precisione, sarà però un altro il suo ultimo libro scritto in romeno, Il breviario dei vinti, tenuto nel cassetto per un lungo periodo e pubblicato appena nel 1993. Il passaggio a un’altra lingua non è però legato alla contingenza. Comprendere le ragioni della scelta di abbandonare il romeno è indispensabile per capire la pugna spiritualis che Cioran intrattenne per tutta la vita con la “tentazione di esistere”, come recita il titolo di un altro suo testo. Egli, eleggendo il francese a propria lingua, ne adotta una agli antipodi della sua indole. Troppo distinto ed elegante, il transalpino, per esprimere con tutta la forza necessaria la tensione, la lotta, il confronto con il male, ma forse per questo latore di salute, a differenza del romeno.

Dio e la creazione, l’amore e il male, l’arte e la musica, la solitudine e l’afflizione sono al centro di queste pagine che testimoniano il confronto sanguigno di Cioran con quella malattia mortale che affligge gli uomini caduti nelle tenebre del Tempo. Agli occhi di Cioran il mondo sembra definitivamente stonato, privato delle ultime armonie possibili. Niente ha più senso, a parte l’illusione e il sogno, le lacrime e la lotta. «Potete tranquillamente dire che l’universo non ha alcun senso. Nessuno se la prenderà. Ma provate ad affermare la stessa cosa di un individuo qualsiasi – annota –; questi protesterà, e si adopererà per non farvela passare liscia. È così per tutti: finché si tratta di un principio generale, ci mettiamo fuori causa e, senza alcun imbarazzo, ci ergiamo a eccezione. Se l’universo non ha senso, può qualcuno sfuggire alla maledizione di questa condanna? Tutto il segreto della vita si riduce a questo: essa non ha alcun senso, eppure ognuno di noi gliene trova uno».

Ciononostante non si tratta di resa per Cioran. L’intarsiatura tragica sottesa a Il crepuscolo dei pensieri o, come scrive il filosofo, «il pensiero immerso nella luce notturna della disperazione», permette di riconoscere nella sofferenza e nella stanchezza, sorte dalla lotta con la tentazione di esistere, dei sentieri di conoscenza. Dei sentieri che si possono battere, però, solo gustando i limiti del proprio e ssere. «In definitiva, la filosofia è la meditazione poetica dell’infelicità», sentenzia l’“amico lontano”, come lo chiamava Constantin Noica. «Chi crede nell’uomo e nella ragione come fa a non impazzire di delusione, a mantenere l’equilibrio davanti alla continua smentita dei fatti?», si chiede, ma senza indietreggiare, Cioran che nonostante questi pensieri, a detta di amici e conoscenti, era tutt’altro che malmostoso nel quotidiano. Come d’altronde testimoniano bene le relazioni e i rapporti che ha tessuto nel corso degli anni. Lo dimostra l’ampia platea di corrispondenti con cui intrattenne anche lunghi e duraturi scambi epistolari. Ne dà conferma la raccolta, curata da Vincenzo Fiore, Il nulla per tutti. Lettere ai contemporanei (pagine 272, euro 24,00) da poco pubblicata da Mimesis. Garbo, gentilezza e attenzione caratterizzano queste missive scambiate, tra gli altri, con Erwin Chargaff, Gabriel Marcel, Dolf Sternberger, María Zambrano, Marguerite Yourcenar, Paul Celan, Elie Wiesel. Forse nella solitudine della lotta contro il male non era veramente solo. E forse in quella lotta si aprono spiragli di eternità che Cioran stesso intravedeva quando in Il crepuscolo dei pensieri osservava che «più perdo la fede nel mondo, più sono in Dio, senza credere in lui. Sarà una malattia misteriosa o un’onestà della mente e del cuore a farci essere a un tempo scettici e mistici?».

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