Mostra di Venezia. «Still recording», il cinema di al Batal. Martiri a Damasco
Ha senso insegnare cinema ai giovani sotto le bombe descrivendo le proporzioni dell’Uomo vitruviano? Per Saeed al Batal, fotografo e regista nato a Tartous in Siria 30 anni fa, sì. «Le immagini sono importanti, perché diventeranno un documento storico» spiega ai suoi allievi parlando di Leonardo e mostrando sullo schermo come si gira un inseguimento in un poliziesco americano. La scena seguente, invece, è una vera sparatoria a suon di mitra per le strade di Ghouta Est a Damasco, il quartier generale delle truppe ribelli al regime di Assad sotto assedio dal 2011. I leader della Coalizione nazionale siriana denunciano quattrocentomila persone assediate dai bombardamenti serrati dell’esercito governativo e dall’aviazione degli alleati russi, e ben 2000 civili uccisi.
Saed e il suo collega e coetaneo Ghiath Ayoub, operatore audio video nato a Damasco, hanno deciso di documentare tutto ciò su un periodo di quattro anni, dal 2011 al 2015, lavorando su 450 ore di girato da parte di vari cameramen, tra cui alcuni uccisi, come pure diversi degli intervistati, e ricordati nei titoli di coda. Still recording (Sta girando ancora) è il significativo titolo del documentario in gara alla Settimana Interazionale della Critica alla 75ª Mostra del cinema di Venezia, che ci fa immergere senza filtri nella vita reale di una città assediata durante uno dei momenti più violenti della guerra in Siria.
C’è molto l’occhio del reporter e del-l’attivista umanitario quale è Saed al Batal, tra i fondatori tra l’altro dell’organizzazione no profit “Humans of Syria” e che ha lavorato come reporter per svariate emittenti radiofoniche, come la statunitense NPR National Public Radio e DR - Denmark Radio. Impegnato anche Ghiath Ayoub che insegna comunicazione visiva e arte terapia ai bambini rifugiati in Libano. Il pregio del documentario è di fornire, nel suo stile sporco e realistico, una documentazione storica importante su come vivono, cosa pensano, che cosa soffrono coloro che si trovano dal-l’altra parte della barricata: militari improvvisati delle forze di liberazione, anziani che cantano brani tradizionali, bambini dal volto indurito, e artisti che cercano di ricreare un po’ di normalità nella desolazione delle macerie.
Come l’uomo che fa ginnastica fra i palazzi bombardati. «Ma perché mai ti alleni? » domanda Saeed all’atleta. «Perché lo sport è vita» aggiunge: nonostante venga interrotto da un crepitare di pallottole, poi ricomincia gli allenamenti. Poi c’è un momento surreale e quasi toccante, con il soldato ribelle che parla di sera via radio con un soldato dell’esercito di Assad: i due si rinfacciano la veridicità delle notizie, ma comunque dialogano. E’ la Siria divisa dalla guerra civile. Il regista Saeed al Batal è uno di quei milioni di siriani cui la vita è cambiata per sempre, ma ha deciso di restare a documentare. La sua cinepresa documenta l’entusiasmo, prima, e i dubbi poi del suo amico Milad che vive dal-l’altra parte della barricata, a Damasco, sotto il controllo del regime, dove sta terminando gli studi d’arte. Un giorno, Milad decide di lasciare la capitale e raggiungere Saeed nella Douma assediata. Qui i due mettono in piedi una stazione radio e uno studio di registrazione. Tengono in mano la videocamera per filmare tutto ciò che li circonda, fino a quando un giorno sarà la videocamera a filmare loro. E così vediamo immagini strazianti di decine di vittime di esecuzioni sommarie, si vedono i miliziani combattere mortaio in spalla fra le macerie, mentre i cecchini sono una presenza costante e mortale. Ma ci sono anche i ragazzi che sfilano in corteo scandendo lo slogan «Libertà, no Isis». Milad va in crisi: «Si può vivere senza avere paura? Chi sono io? A cosa servono le cose che faccio? ». Le ultime immagini del documentario sono un colpo al cuore per il loro realismo. Le vite sono appese a un filo, basta un attimo. Ma la telecamera è ancora lì, e continua a registrare.