Storia. Il caso Mortara raccontato da lui stesso: il mistero del “Memoriale”
Una foto di scena da "Rapito" di Marco Bellocchio, sul caso Mortara
Inquietante. Giustamente inquietante la vicenda di Edgardo Mortara, portata alla conoscenza di molti grazie al recente film di Bellocchio Rapito. Ora Marietti 1820 pubblica, a cura di Marco Cassuto Morselli, Il “Memoriale” di Edgardo Mortara (pagine 184, euro 18,00). Giustamente inquietante anche questa pubblicazione: finalmente, dopo la correttezza di Gemma Volli nel suo rigoroso e avveniristico lavoro storico del 1960, riproposto recentemente da Giuntina con la prefazione di Ugo Volli, possiamo incontrarci con la correttezza del curatore. Anche i dati storici e archivistici, in apparenza semplici, palesano un risvolto che richiederà molta acribia, molta ricerca archivistica, reale e autentica per essere assodati e resi del tutto credibili.
Nella prefazione di Cassuto Morselli ogni passo è motivato e dimostrato. Il lettore potrà partire dalla triste vicenda innestatasi a Bologna nel 1858 e giungere alla sua conclusione (ovvero pseudo-conclusione) con la morte nel 1940 di Edgardo, divenuto padre Pio dei Canonici regolari lateranensi. Il Memoriale, 89 pagine, suscita, pur lui, inquietudine: scritto in spagnolo (Edgardo era poliglotta) ma non autografo, solo dattiloscritto… da chi? La datazione potrebbe risalire agli anni ’30 del Novecento. Potrebbe. Più mani si intravedono, a una lettura attenta, in queste dolenti pagine, se osservate dal punto di vista della famiglia Mortara e dello stesso bambino, poi ragazzo e uomo, sottoposto ad un gravame psicologico che non è sufficiente collocare e motivare con la fede vissuta. Se osservate nel loro Sitz im Leben, ecco affiorare problemi sociali e politici, come viene sottolineato da Cassuto Morselli: «Il potere temporale dei papi stava vivendo i suoi ultimi anni e il rapimento del piccolo Mortara assunse un significato politico a livello nazionale e internazionale, tra lo stupore di quegli ambienti cattolici che non comprendevano il clamore suscitato per qualcosa che “si era sempre fatto”». Un altro punto di vista ancora, non perché la prefazione sia molle argilla che si adegua a tutto ma perché, dimostrandosi dura roccia, costringe ad interrogarsi da un punto di vista canonico che ha compiuto balzi di canguro per ottenere quanto voleva scavalcando il codice stesso.
Ora perché attardarsi su di un fatto ormai passato (anche se rilanciato all’opinione pubblica) e il cui spessore lascia trasparire manipolazioni? La risposta non può che essere una, anche perché non si avverte nella presentazione nessun aspetto polemico, neppure quando traccia il contorto inanellarsi delle pubblicazioni antecedenti, nessuna vena di rivendicazione ma solo il desiderio di chiarezza e di verità. In gioco vi è tutto il dialogo ebraico-cristiano che versa in momenti ora stagnanti, ora ardui: «Pubblicando una nuova edizione del Memoriale il nostro intento non è quello di rinfocolare vecchie polemiche, ma di affrontare una vicenda dolorosa che deve essere rielaborata in modo da rimuovere un ostacolo alle relazioni ebraico-cristiane. Ebrei e cristiani non devono avere timore di ricercare la verità storica. Il fatto che l’abate generale dei Canonici regolari lateranensi, Franco Bergamin, abbia voluto contribuire a questa pubblicazione con una sua postfazione è un altro segno di speranza». L’abate afferma: «Decostruire l’antigiudaismo cristiano non costituisce un pericolo per il cristianesimo, ma, al contrario, è una via di purificazione da quel peccato che ha provocato molto dolore agli ebrei e all’ebraismo e, allo stesso tempo, ai cristiani e al cristianesimo, in quanto ha allontanato il cristianesimo dalle sue radici ebraiche».
Quanto urge è non tanto smantellare la teologia della sostituzione, rectius ideologia della sostituzione, ma creare una nuova teologia del rispetto totale dovuto all’irruzione dell’Altissimo nell’umanità, scegliendo il popolo di Israele e affidandogli, con l’alleanza, il compito di essere Luce per le nazioni, riconoscendone nelle luci e nelle ombre di ogni vicenda umana, la fedeltà nei secoli. Per i credenti cristiani, Gesù Cristo, è Luce per le nazioni ma appunto dobbiamo apprendere a passare attraverso Israele e camminare insieme sulla via dello Shalom.