Agorà

Il personaggio. Il canto di Serena Brancale tra Pino e il jazz

Massimo Iondini martedì 29 marzo 2022

La cantante e polistrumentista Serena Brancale: il nuovo album s'intitola “Je so accussì”

Voce tra le più emozionanti e versatili del panorama italiano. Ritmicità pura, quella di Serena Brancale, cantante e polistrumentista barese attraversata dal fuoco sacro dei suoni di confine tra jazz e funk, rhythm and blues e soul. Quanto contiene il suo nuovo album, il terzo, uscito lo scorso venerdì: Je so accussì (Isola degli Artisti), disponibile su tutte le piattaforme digitali. Un titolo-manifesto, a scandire in dieci brani una identità che rifiuta etichette e catalogazioni. In virtù di una forte personalità ispirata, semmai, a chi della unicità stilistica e artistica aveva fatto una bandiera, Pino Daniele. Per questo ci sono ben tre omaggi al “musicante”, attinti ai suoi tre album più ispirati: Pino Daniele, Nero a metà e Vai mo’ del triennio ’79-81.

«Una certa sonorità frutto del mio amore artistico per Pino Daniele – spiega Serena Brancale – attraversa un po’ tutto l’album, ben al di là della rivisitazione di Je so’ pazzo, Alleria e Viento ’e terra. Pino è stato il primo a utilizzare poi il napoletano sul funk. Non è blues e non è jazz, lui non può essere etichettato. È un inconfondibile concentrato identitario di tutti questi stili. Ecco, io vorrei seguire la sua scia. Per questo non mi sento e non mi considero solo una cantante jazz. Mi racconto in Je so accussì, la canzone più personale del disco. Pino Daniele ce l’ha fatta a superare classificazioni e aspettative, per questo è diventato lui stesso un genere». Partita nel 2015 con il brano Galleggiare (titolo anche del suo primo album, seguito nel 2019 da Vita da artista), portato al Festival di Sanremo, Serena è tanto giovane quanto sicura. Oltre che della sua musica, anche delle difficoltà per una donna di essere riconosciuta come cantante e musicista che ha anche qualcosa da dire.

«Avevo molto apprezzato il monologo a Sanremo di Elodie l’anno scorso che ha raccontato le sue difficoltà a venir fuori da una borgata romana e a farcela – dice la 32enne artista pugliese –. Se nel nuovo disco canto anche il “girl power” (in Donna duetta con Margherita Vicario, con la partecipazione di Fabrizio Bosso alla tromba, ndr), lo faccio però senza alcun intento rivendicativo. Omaggio noi stesse, e basta. Forte anche di essere cresciuta in una famiglia dominata dalla figura di mia madre che gestiva tutto. Ho preso da mia madre cantante, venezuelana di origine ma nata a Bari. Ha portato molto ritmo in casa, che io ho assorbito: suono la batteria elettronica e mi piace ballare, come faccio anche nei concerti. Mamma aveva una scuola di musica dove ho recitato e suonato pianoforte e violino. Mia sorella è pianista classica e mio padre un ex calciatore (Agostino Brancale, terzino fluidificante negli anni 80 in diverse squadre tra cui Marsala, Juve Stabia, Monopoli e Salernitana, ndr). Insomma, la donna è un po’ al centro di questo album che si apre infatti con un duetto con la rapper Roshelle in Like a melody».

Brani in cui il ritmo è padrone, ma al pari della sotterranea poesia di un’avvolgente sonorità che dal Mediterraneo attraversa ogni confine e stile. «Quando ho contattato Ghemon per il duetto in Pessime intenzioni eravamo per caso entrambi immersi in una fase di ascolto di musica degli anni 70. Volevo fare un brano nu-soul che si ispirasse un po’ al suono della Motown, a James Brown e agli Earth, Wind & Fire, che spaziano come me tra diversi generi » spiega Serena la collaborazione con il rapper campano, in rete anche in videoclip. Ma è quello con il bassista Richard Bona il connubio più curioso e sorprendente che ha di fatto proiettato Serena Brancale nella grande “family” di Quincy Jones.

«Conobbi Bona quattro anni fa – racconta –. Eravamo entrambi in cartellone al Blue Note di Milano e lui ha visto il mio show. Mi ha fatto i complimenti, siamo rimasti in contatto su Instagram e io gli ho proposto di duettare con me. Volevo coinvolgerlo in un brano di Pino Daniele, ma temevo che non lo conoscesse. Invece conosceva perfettamente anche la sua Je so’ pazzo. Mi ha svelato poi Stefano Di Battista che, prima di morire, Pino avrebbe dovuto avere nella sua band, oltre a Di Battista al sax, proprio Richard Bona al basso. Insomma, il mio amore per Pino è stato ricambiato con questo duetto. Mi rammarico soltanto di non averlo potuto conoscere e di non aver mai visto nemmeno un suo live».

Ora Serena Brancale attende di portare il nuovo disco in giro, «la parte che mi riesce meglio, il live è la mia dimensione preferita». Milano, Roma e la sua Bari tappe certe, ma il calendario è in allestimento. «Quando canto sto bene – dice –. Il mio antistress non è la meditazione, mi basta sedermi al pianoforte e scaldare la voce. A quel punto sono connessa con me stessa. Il che non è poco, visto che le vibrazioni interiori sono tutto».