Angela Merkel arriva ad Atene, in piazza esplode la rabbia e i paragoni con la Repubblica di Weimar si sprecano. Non potrebbe essere altrimenti, considerato che la crisi galoppa e la disoccupazione dilaga. Ma anche in Germania, in effetti, un po’ di Grecia c’è. Magari ben nascosta, eppure non del tutto invisibile. Non parliamo di frontoni neoclassici, né di reminiscenze filosofiche, ma di disagio sociale, povertà e – più che altro – di pregiudizi che, pur viaggiando sotto traccia, producono danni e avvelenano il clima. A rivelare qualcosa di questa Germania imprevista e in ampia misura sconcertante è un veterano del giornalismo investigativo, Günter Wallraff. Quello di
Faccia da turco, per intenderci: erano gli anni Ottanta e al tedeschissimo Wallraff bastò farsi crescere un bel paio di baffoni per calarsi nel ruolo dell’immigrato in arrivo dal Bosforo, scontando di conseguenza un’incredibile sequela di discriminazioni e umiliazioni. Il libro nato da quell’esperienza fece discutere e, più che altro, si impose come modello di un metodo di ricerca «sotto copertura» destinato a conquistare sempre più spazio sulla carta stampata così come in televisione. Anche le inchieste ora raccolte
Notizie dal migliore dei mondi, scelto dalla neonata casa editrice L’Orma per inaugurare la collana “Kreuzville” (traduzione di Sara Mamprin, pagine 246, euro 16) sono il frutto della collaborazione di Wallraff con una
troupe che, oltre a effettuare riprese di nascosto, spalleggia il giornalista nelle situazioni più disparate. Emblematico il caso degli operatori che simulano interesse per l’appartamento visitato poco prima dal camaleontico Wallraff sotto le mentite spoglie di un africano. «Ho appena preso un tale spavento – confessa la proprietaria conversando con i complici del reporter – Mi è arrivato uno... un affittuario che proprio non posso prendere in casa. Un nero!».È la sintesi perfetta di quella che Wallraff definisce «la più classica declinazione moderna del razzismo: non ho niente contro questa gente, purché se ne stia da un’altra parte». Vale per gli extracomunitari e per i senza fissa dimora (le peregrinazioni tra i vari centri di accoglienza sono forse le pagine più impressionanti del libro), ma la tendenza a voltarsi dall’altra parte riguarda anche il mondo del lavoro, come testimoniano le immersioni di Wallraff nel prevedibile sottobosco dei
call center e nell’assai più imprevedibile inferno dorato dell’alta cucina, con i giovani apprendisti
chef costretti a turni massacranti. E poi c’è il capitolo sugli abusi dei trattamenti psichiatrici, un tema che sta molto a cuore al giornalista: «Da un reparto di psichiatria non si impara nulla – afferma –. Il mondo appare desolante e disperato. O, meglio, appare da dietro il banco di nebbia che provocano gli psicofarmaci in eccesso somministrati irresponsabilmente».A settant’anni appena compiuti, Wallraff non ha perso il gusto della provocazione ed è più che mai convinto della necessità di reportage come i suoi: «C’è sempre qualcuno che riesce, anche nelle situazioni più difficili, ad andare per la sua strada, camminando a testa alta, capace perfino di infondere coraggio agli altri. Di queste persone racconto sempre particolarmente volentieri», spiega. Con il passare degli anni, aggiunge, il suo modo di lavorare si è affinato, senza cambiare nella sostanza: «Il mio modo di indagare è rimasto lo stesso –dice –. Cerco le zone di conflitto in cui si rivelano le contraddizioni della nostra società, per provare sul mio proprio corpo come si viva o sopravviva in quelle situazioni, quali siano le sofferenze e quali i meccanismi di sfruttamento. Cerco di capire come, nonostante tutto, si possa resistere e conservare la propria dignità. Ancora oggi lo faccio con una maschera, in incognito. L’unica differenza è che ormai, di tanto in tanto, devo darmi una ritoccata in più per via dell’età». Quello che colpisce, nel passare in rassegna queste
Notizie dal migliore dei mondi, è la somiglianza fra contesti – e Paesi – che sembrerebbero altrimenti molto distanti tra loro. Un esempio? Il perverso dispositivo delle offerte telefoniche analizzato da Wallraff dall’interno delle maggiori società tedesche del settore ricorda molto da vicino le dinamiche descritte da Michela Murgia nel suo libro d’esordio,
Il mondo deve sapere, da cui Paolo Virzì ha poi tratto il film
Tutta la vita davanti. Ma anche nelle altre inchieste le analogie non mancano. In un certo senso, Wallraff è il portavoce di una maggioranza silenziosa, composta da«milioni di individui declassati che pensano di doversi vergognare per una povertà di cui non hanno colpa».Non è un lavoro di tutto riposo, si capisce. Tra i rischi del mestiere c’è che, dopo tanti anni di onorato servizio, il viso del giornalista riesca familiare a qualcuno e il gioco venga scoperto. Anche se poi, nella maggioranza dei casi, si tratta di ammiratori, che lo incitano a continuare sulla sua strada di documentazione e denuncia. Ma altre volte la situazione si fa davvero pericolosa: «Mentre ero travestito da nero – ricorda Wallraff – dei fanatici di calcio mi hanno quasi linciato». Se però gli si chiede quando gli è capitato di avere più paura, “Faccia da turco” non ha esitazioni: «Ad Atene, stavo protestando contro la dittatura militare». Erano altri tempi, però già allora Germania e Grecia avevano qualcosa da dirsi.