«Non è vero, ma ci credo», diceva Benedetto Croce quando gli parlavano della superstizione del popolo napoletano. Ora lo stesso dicono sospirando a Lisbona, sponda Benfica, quando ai tifosi del più prestigioso club lusitano rammentano della “maledizione" di Béla Guttmann. Chi era costui? Come Helenio Herrera, il mister di Budapest è stato uno degli antesignani di Josè Mourinho.
Un tecnico carismatico capace di entrare nella mente dei giocatori del Benfica e guidarli alla vittoria di due edizioni consecutive - nel 1961 e nel 1962 -, della Coppa dei Campioni. Stagioni irripetibili, in cui la stella nera del calcio europeo era Eusebio, pupillo lanciato con il solito intuito da rabdomante di talenti dal mago Bela. Tutto filava liscio, fino a quando Guttmann nell’estate del ’62 entrò in rotta di collisione con la dirigenza del Benfica che gli negò il nuovo contratto.
Il tecnico ungherese aveva preteso il doppio dell’ingaggio dell’annata precedente, semplicemente per la straordinaria doppietta di Coppa. Il «no» secco, mandò su tutte le furie Guttmann che fece le valigie. Ma prima di salire sul volo che lo portava a Montevideo (andò ad allenare il Penarol) lanciò il suo apocalittico anatema: «Me ne vado, ma nei prossimi cento anni nessuna squadra portoghese sarà per due volte campione d’Europa, e il Benfica non vincerà una Coppa dei Campioni». Il popolo del Benfica sorrise, perchè la squadra era talmente forte che l’anno dopo era nuovamente finalista.
Già, ma perse 2-1 contro il Milan. «Non sempre si può vincere», cantava Shapiro e anche Eusebio che nella stagione 1963-’64 si ripresentava come finalista, e questa volta a strappare dalle mani dei giocatori del Benfica la Coppa dalle grandi orecchie fu l’Inter di Herrera. Dopo due vittorie di fila, altrettante finali perse e così nel caldissimo ’68 il tabù era pronto per essere sfatato nella finalissima con il Manchester United.
Ma era quello del “Pelè bianco” George Best e il Benfica vide i “Diavoli Rossi” inglesi calare un poker tremendo (4-1). I tifosi del Benfica a quel punto hanno cominciato a temere che la maledizione di Guttmann si fosse materializzata sul serio e ne ebbero ormai la triste riprova nell’88: quarta finale persa ai rigori con il Psv Eindhoven. Nel ’90 a Vienna l’avversario è il Milan e finisce 1-0 per i rossoneri.
Quella volta Eusebio, alla vigilia della finale a Vienna era andato persino sulla tomba di Béla Guttmann per pregarlo di togliere la maledizione al Benfica. Maledizione che oltre che nella Coppa dei Campioni ricadde anche sulla Uefa: nell’83 Benfica sconfitto in finale dall’Anderlecht.
I teorici della maleficio si affrettavano a sottolineare che Guttmann aveva parlato solo di «mai più vittorie nei prossimi 100 anni in Coppa dei Campioni», quindi la Coppa Uefa poteva considerarsi salva. E invece dopo il ko con l’Anderlecht ci fu quello con il Chelsea nel 2013 e poi il triste epilogo di ieri sera allo Juventus Stadium con il Siviglia. Ottavo sigillo nero per la formazione portoghese che ha perso ancora, e ai rigori.
L’incantesimo si è consumato in quella Torino che il Benfica ha sempre tenuto nel cuore, per via degli eroi granata caduti nella sciagura aerea di Superga. Era il 4 maggio del 1949 e il giorno prima a Lisbona il Grande Torino aveva disputato la sua ultima partita proprio contro i campioni del Portogallo. Vincere l’Europa League sul campo dei cugini del Toro, lo Juventus Stadium, dopo aver eliminato i bianconeri di Antonio Conte in semifinale, poteva essere davvero la fine della maledizione. E invece lo 0-0 dopo 120 minuti di gioco ha fatto presagire alla tifoseria del Benfica che sarebbe stata un’altra notte da incubo. E incubo è stato...
La monetina dell’arbitro tedesco Brych ha sancito che la roulette russa dei rigori deve girare sotto la curva dei tifosi del Siviglia. Il club spagnolo in porta schiera un portoghese, Beto, nato a Lisbona e mai stato profeta in patria che dal dischetto del rigore ipnotizza i connazionali Cardozo e Rodrigo. Una mano fantasma è come se afferrasse i loro piedi al momento di calciare, così che escono due tiri che Beto come un gatto vola a respingere. Sui guanti di un portiere portoghese muoiono le speranze di infrangere l’anatema di Guttmann. Finisce 4-2 per il Siviglia che alla faccia delle maledizioni del calcio ha vinto 3 finali Uefa su tre disputate.
Finisce con il popolo del Benfica in lacrime e un bambino che non riesce a smettere di piangere dopo aver pregato per tutto il tempo. Ma le preghiere lanciate al cielo e quelle recitate da centinaia di tifosi del Benfica che in questi anni, come Eusebio (morto lo scorso 5 gennaio), sono andati alla tomba di Guttmann per chiedere la «fine della maledizione», non sono servite a niente . Non è bastato neppure un tecnico che di cognome fa Jesus (Jorge), per scongiurare il peggio. Uno Jesus pietrificato è salito sul palco della Uefa per ricevere la medaglia dei secondi e la consolazione formale di Michel Platini.
Milioni di innamorati del Benfica oggi hanno il cuore gelato, per aver assistito all’ottava tragica finale della loro squadra. Che per veder alzare ancora una Coppa in Europa dovremo davvero aspettare il 2062? (quando scadono i 100 anni profetizzati da Guttmann). Si chiedono sgomenti. I più ottimisti dicono che sarà per l’anno prossimo, ma sono la minoranza. I più, anche i meno superstiziosi, ripensando alle parole del vecchio Bela staranno dicendo: «Non è vero, ma ci credo».