La storia. Il baseball per ciechi che vuole il Mondiale
Giorgio Napoli, giocatore della Nazionale italiana impegnata nei Mondiali di baseball per ciechi
«Abbiamo la responsabilità di dover vincere, ma soprattutto di mostrare a che livello è arrivato il baseball non vedenti». Marco Corazza è emozionato alla vigilia della WBSC Blind Baseball International Cup, la massima competizione per nazioni del baseball per ciechi, in programma a Slough, in Gran Bretagna, dal 27 al 29 settembre. Il 46enne romano sarà infatti il ct della Nazionale azzurra, già campione d’Europa nel 2023. «A fine agosto – spiega il tecnico degli Roma All Blinds – abbiamo fatto un raduno a Roma, siamo pronti e carichi. Anche io sono emozionato perché per la prima volta sarò il manager, cioè il coordinatore dei coach dell’Italia».
Per Corazza, il percorso nel blind baseball è iniziato quasi venti anni fa. «Nel 2006 – ricorda l’allenatore, ex giocatore a livello amatoriale – Alfredo Meli, l’inventore del baseball per ciechi, venne insieme ad alcuni suoi collaboratori a Roma per proporre la creazione di una squadra per non vedenti. All’inizio addirittura pensavo stesse scherzando, ma poi guardando una dimostrazione ho capito che facevano sul serio». Marco ha vissuto da protagonista tutta la crescita del movimento azzurro, animato dall’Associazione Italiana Baseball giocato da Ciechi e che attualmente conta un campionato di Serie A organizzato dalla Lega Italiana Baseball Ciechi ed Ipovedenti (LIBCI) e composta da undici squadre, sparse in tutta Italia e che ha portato il blind baseball in tutto il mondo, da Cuba al Pakistan alla Tanzania. «All’inizio sembrava solo un modo per far fare sport alle persone non vedenti – spiega il ct azzurro – invece adesso abbiamo ragazzi e ragazze che si allenano due volte alla settimana, con un livello di preparazione e di gioco altissimo».
«Rispetto ai normodotati – dice Corazza – ci sono poche differenze nell’allenamento, perché curiamo tutti gli aspetti della preparazione. Esistono ovviamente delle accortezze e dei modi diversi di comunicare. Un esempio? Non puoi dire a un non vedente “Vai di qua o vai di là, ma fai un passo a destra o uno a sinistra”. Il consiglio che do sempre è quello di farsi consigliare dai giocatori stessi». Un’esperienza, quella con il baseball per ciechi, che ha arricchito Corazza anche dal punto di vista personale. «Nel 2012 ho perso una gamba – racconta il 46enne che lavora per un’azienda farmaceutica – e sono stati i ragazzi ciechi a insegnarmi molto su come affrontare la mia disabilità. Mi hanno fatto capire che mi dovevo concentrare di più su quello che avevo e non su quello che avevo perso».
Tra i giocatori che Corazza ha allenato e che seguirà anche al Mondiale inglese c’è Giorgio Napoli, classe 1983, originario di Paestum in provincia di Salerno ma ormai trapiantato a Bologna. «Nel 2016 – ricorda la colonna della Fortitudo Bologna White Sox, la squadra fondata da Alfredo Meli e dal suo braccio destro Umberto Calzolari – sono venuto in Emilia per seguire corsi di formazione professionale all’Istituto dei Ciechi “Francesco Cavazza” di Bologna. Lì ci hanno fatto provare diversi sport, tra cui il blind baseball. Io, che da vedente praticavo basket, non avevo mai giocato a baseball e non pensavo ci si potesse giocare con una disabilità visiva».
«La squadra è composta da cinque giocatori non vedenti, uomini o donne, e da un giocatore vedente, oltre che da un assistente vedente solo nella fase di difesa – specifica – non c’è il lanciatore e noi “autobattiamo” con una palla sonora. La battuta per essere valida deve superare un cordino tirato tra la seconda base e la terza base e deve rimbalzare almeno una volta in campo. Dopo che abbiamo “autobattuto” dobbiamo arrivare sulla base, prima che la difesa recuperi la palla e la lanci. Lo scopo del gioco è lo stesso del baseball dei normodotati, segnare punti facendo il giro delle basi, con la prima che è sonora».
«È interessante che i vedenti giochino con noi – sottolinea Napoli – e noi giochiamo grazie a loro». Uno sport “completo” che a Giorgio ha cambiato la vita. «Il blind baseball è stato uno dei motori per riprendere in mano la mia vita – racconta il giocatore che durante una finale di Coppa Italia ha incontrato anche sua moglie, con cui ha due figli – ad esempio nel febbraio 2017 per giocare ho iniziato a muovermi in treno da Salerno a Roma». «Per molti – gli fa eco Marco Corazza – il baseball è stata una scuola di vita. Ho visto ragazzi che facevano fatica a uscire di casa che grazie allo sport hanno intrapreso un percorso che li ha portati a lavorare e ad essere autonomi. Per tanti giocatori le prime trasferte sono state il primo viaggio da soli delle loro vite e spesso parlo con i genitori per aggiornarli e rassicurarli».
«In più a me giocare – aggiunge Giorgio, che a causa della retinite pigmentosa ha solo un piccolo residuo di vista – ha consentito di migliorare la propriocezione ma anche l’attenzione ai suoni e la percezione degli spazi. Sul campo da baseball io mi sento libero da ogni limite, non mi rendo conto della mia disabilità». Per Napoli, che si allena due volte a settimana a Casteldebole («anche se per il livello dovremmo fare più sedute» ammette), la competizione iridata in Gran Bretagna ha un particolare significato personale. «È come se si chiudesse un cerchio – dice il miglior giocatore della prima edizione del torneo del 2022 in Olanda – ho lavorato a Londra fino al 2013, quando sono dovuto tornare in Italia per l’aggravarsi della malattia, e ho un legame speciale con quella città».
Il Mondiale 2024 è una tappa fondamentale per tutto il blind baseball. «In Italia siamo a buon punto – conclude Marco Corazza –all’estero è una disciplina con un potenziale enorme, sarebbe importante riuscire a sbarcare anche in Oceania, perché avere una squadra in ogni continente ci darebbe più spinta verso le Paralimpiadi. Sarebbe un sogno esordire a Los Angeles, nel Paese dove il baseball è uno sport nazionale». Anche Giorgio Napoli ha una prospettiva che va oltre il Mondiale britannico. «Fino a che il fisico regge e sto bene vorrei essere in campo – chiude – in futuro vorrei rimanere in questo mondo, occupandomi soprattutto della promozione di questo sport». Che dall’Italia si è diffuso in tutto il mondo, percorrendo il cammino tracciato da Alfredo Meli e Umberto Calzolari.