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Poesia, traffico e regole. I versi di Leopardi e l'autovelox: pensieri abbaglianti

Alessandro Tamburini martedì 24 settembre 2024

Stai guidando su una strada poco trafficata, di sera, dopo una giornata faticosa, quando un’auto che ti viene incontro alza gli abbaglianti: due colpi brevi e ravvicinati che sembrano un avvertimento. Ti scuoti, stringi la presa sul volante e d’istinto rallenti, mentre la corsa dei pensieri accelera. La tua auto potrebbe avere qualcosa che non va, uno sportello chiuso male, un guasto in corso. Controlli la strumentazione, tendi l’orecchio, non cogli niente di anomalo. Forse era la segnalazione di un pericolo, un incidente, un animale sulla carreggiata. Per ogni evenienza rallenti ancora, finché dopo una curva compare la pattuglia della stradale: un agente pronto a calare la paletta, un altro dietro il treppiede dell’autovelox puntato. La paletta non scende e passi oltre, come se rotolassi al di là di un ostacolo. Ti riaffiorano alla memoria i versi del grande poeta recanatese: «Uscir di pena/ è diletto fra noi», pensando alle scampate insidie di un controllo, o anche di peggio. Non andavi forte, ma che limite c’era in quel tratto? Forse ti eri distratto e potevi essere in contravvenzione, a prezzo di una multa o addirittura di bruciare punti della patente. Ti ha salvato l’automobilista sconosciuto inducendoti a rallentare, e la riconoscenza verso di lui risveglia subito un altro interrogativo: mandare a tua volta o no il segnale a quelli che ti vengono incontro? Il dito è già pronto sulla levetta, anche se sei ancora incerto. Poi arriva un’auto e senza deciderlo dai gli stessi due colpetti di abbaglianti che hai ricevuto tu, poi anche a quelle che seguono, senza più esitare. Non capisci bene perché lo hai fatto. Forse per attirare anche su di te sentimenti di gratitudine. Prendi un respiro profondo, allenti la presa sul volante. La strada per arrivare a casa è ancora lunga e hai il tempo di rimuginare l’accaduto, di domandarti se hai fatto la scelta giusta, e cosa significa. Le forze dell’ordine vanno viste come amici o nemici? Disapprovi forse il controllo sui limiti di velocità? No certo, specie nel luogo dove vivi e i tuoi figli vanno a scuola, e se ne evincerebbe che un’etica condivisa dipende dal senso di appartenenza a una comunità. Si potrebbe osservare però che non è leale da parte della pattuglia piazzarsi proprio dopo una curva, e che a volte le sanzioni appaiono davvero sproporzionate rispetto all’infrazione commessa. Il fine dichiarato è la sicurezza stradale, ma sai bene di certi comuni che hanno rinnovato l’intera pavimentazione cittadina con gli introiti di un autovelox piazzato in un punto strategico. Andrebbero corrette le regole oppure solo le modalità di esercizio? Il dubbio riguarda l’applicazione di un vero principio di equità, col sospetto che la norma non sia uguale per tutti, ma piuttosto severa coi deboli e debole coi forti. L’entità di una multa che ha un peso modesto per un benestante può gettare nell’angoscia chi arriva con fatica a fine mese. Ti vengono in mente altre realtà in cui possono porsi questioni analoghe. È giusto o no passare la soluzione del compito in classe al compagno in difficoltà? È sempre doveroso condannare chi abbia violato una legge, un divieto, e sarebbe una colpevole complicità dargli asilo? Pensi ad Antigone, archetipo del dissidio fra la legge dello Stato e quella dettata dalla propria coscienza. All’empatia che sanno suscitare certe figure di ladri gentiluomini, da Robin Hood ad Arsenio Lupin, che rubano ai ricchi ed elargiscono ai bisognosi. Immagini motivazioni in grado di giustificare la trasgressione di una data regola. Situazioni in cui possa risultare giusto o inevitabile svolgere una manifestazione anche senza l’autorizzazione del prefetto. Circostanze nelle quali un sindaco abbia ragione di trascurare un protocollo allo scopo di garantire accoglienza ai migranti o aiuto ai bisognosi. Ogni caso fa storia a sé, ma vi sono ragioni inoppugnabili. Oggi tutti riconoscono che fosse un diritto rifiutare la leva militare e l’uso delle armi anche prima che venisse riconosciuto per legge, ma don Milani ha pagato a caro prezzo la battaglia in difesa dell’obiezione di coscienza, come spiega bene il suo libro eloquente già nel titolo L’obbedienza non è più una virtù. Sei arrivato a casa e mentre chiudi insieme all’auto i pensieri di una sera ti accorgi che il dubbio è rimasto. Ancora non sei sicuro di aver fatto bene ad allertare altri automobilisti dell’autovelox, e non sai se lo rifarai una prossima volta. Ma in ultimo magari sì, per l’istintivo riconoscimento di una fragilità comune. Un altro grande poeta lo ha espresso al grado più alto, quando è il gioco la vita, coi memorabili versi: «Di che reggimento siete/ fratelli». Per lo stesso motivo stai dalla parte del monello che con Charlot infrange vetri e legge, piuttosto che del poliziotto che li insegue per metterli in prigione.