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Lo scrittore. Henderson: «I suoni della natura, meraviglie del possibile»

Eugenio Giannetta sabato 21 settembre 2024

Caspar Henderson

Si possono catalogare i suoni dell’universo? Prova a rispondere stasera alle 17.30, il giornalista e scrittore britannico Caspar Henderson, in occasione del Festival di Belleville “2084, Le meraviglie del possibile”, dove presenta il suo nuovo saggio, Cosmofonia (Utet, pagine 400, euro 35,00), un grande catalogo dei suoni dell’universo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande; un libro di fragori, scoppi, bisbigli, ronzii, silenzi e altri suoni di animali, essere umani, macchine e pianeti, per provare a non dare mai i suoni per scontati.

Come è nata l’idea per questo libro?

«I suoni della natura e la musica mi affascinano da sempre. Uno dei miei primi ricordi è il suono delle campane che risuonava sulle colline intorno a un villaggio dell’Hampshire, in Inghilterra, dove vivevano i miei nonni. Circa dieci anni fa sono andato a vedere un sussurro di uccelli della famiglia dei trampolieri sulla costa di Norfolk, in Inghilterra. Lo spettacolo era stupefacente, ma non meno stupefacente era il rumore delle loro ali mentre volavano sopra di noi. In seguito ho iniziato a pensare a quanto poco sapessi del suono e del suo ruolo nel mondo umano e non umano. Ho deciso che un libro sarebbe stato un buon modo per esplorare e imparare di più, e per condividere ciò che avevo imparato».

I suoni degli animali e degli uccelli sono affascinanti, così come la musica del paesaggio: lo scricchiolio dei rami, il tintinnio dei ruscelli o il fischio del vento. Perché oggi c’è un vasto campionario di questi suoni online invece di cercarli in natura?

«Perché online sono facili da raggiungere. Non c’è bisogno di alzarsi dalla scrivania o dal divano. Non credo che ci sia necessariamente qualcosa di sbagliato nell’ascoltare i suoni naturali online o tramite registrazioni, ma niente batte l’esperienza di essere realmente presenti nella natura. L’intera complessità e ricchezza dei suoni, insieme alle vibrazioni, alle brezze e ad altri fenomeni che li accompagnano nel mondo reale, può essere appagante in un modo che le riproduzioni artificiali non sono quasi mai».

Molte band oggi integrano i suoni della natura nel loro sound. Per lei c’è una ragione musicale o culturale?

«Sono favorevole a qualsiasi esplorazione che i musicisti intraprendono con i suoni della natura. C’è un territorio virtualmente infinito là fuori. Tutto ciò che gli artisti e gli altri possono fare per aiutare ad affinare la nostra attenzione e consapevolezza è una buona cosa. Altrettanto importante è il senso di divertimento e di gioia che questo può creare, nonché il senso di nuovi tipi di bellezza».

Per lei il suono è una “meraviglia del possibile”, come suggerisce il titolo del Festival di Belleville di quest’anno?

«Il sottotitolo dell’edizione in lingua inglese del mio libro è Notes on the Auraculous. Per quello che so “auraculous” dovrebbe proprio indicare le meraviglie dell’orecchio, o più in generale le meraviglie del suono; è un termine nuovo, almeno in inglese. A volte suoni straordinari (o anche ordinari) ci portano e ci collegano al momento presente e alla consapevolezza, come poche altre cose sanno fare. Il rintocco di una ciotola nella pratica buddista ne è un esempio. Se i suoni possono contribuire a renderci più pienamente consapevoli del momento presente, o sono in qualche modo echi del passato o prefigurazioni del futuro, possono essere uno dei modi in cui ci aiutano a prestare attenzione e a immaginare meglio ciò che è possibile. Spero che questo sia in linea con lo spirito del festival».

Che cos’è per lei il suono? Può essere definito in poche parole? Cosa rappresenta?

«Il suono inteso come onde acustiche è una vibrazione che attraversa la materia. La materia può essere aria, acqua (dove il suono si propaga più velocemente e più lontano che nell’aria) o anche roccia solida. Sono riluttante a generalizzare che il suono, in quanto tale, rappresenti qualcosa per me, ma suoni particolari, quello della voce di mia figlia, per esempio, o di un brano musicale che amo, sono tra le cose più preziose che conosco».

Nel libro lei cita Giobbe: « Dio tuona con la sua voce in modo prodigioso; fa cose grandi che noi non comprendiamo ». Qual è il suo rapporto con il “suono” della fede?

«Alcuni passi del Libro di Giobbe sono tra le più grandi poesie che abbiamo la fortuna di aver ereditato dall’antichità, accanto a qualsiasi cosa del dramma greco o della letteratura cinese. Il mio rapporto con il “suono” della fede potrebbe essere caratterizzato per metà da William Blake (un artista mistico “pazzo”) e per metà da David Hume (un brillante filosofo scettico dell’Illuminismo). Mi piace molto cantare la polifonia del Rinascimento, che di solito ha un testo cristiano, ma l’armonia con gli altri cantanti è più importante per me del testo che stiamo cantando. Penso che l’apertura, la curiosità e l’amore siano tra i valori e le pratiche più importanti».

In un altro libro lei ha affrontato il tema della meraviglia: qual è il suono con cui potrebbe descriverla?

«Un bambino piccolo che canta».

Come immagina un mondo senza suoni?

«Sono sicuro che sia possibile vivere una vita piena e ricca senza suoni. Le persone che nascono sorde o diventano profondamente sorde ce lo dimostrano magnificamente ogni giorno. Ma per quelli di noi che sono in grado di sentire, il suono è una parte insostituibile della nostra vita. Per me un mondo senza suoni sarebbe molto difficile. Non tutti i suoni sono benvenuti. Mentre scrivo, sono nel bel mezzo di lavori edilizi molto rumorosi e sarò più felice quando i lavori finiranno, ma finché riusciamo a trovare isole di pace e tranquillità quando ne abbiamo bisogno, accolgo con piacere la cacofonia del mondo».