Storia della scienza. Quando i "Principi" di Newton fecero girare la Terra
Newton ritratto da Kneller, 1702
Dell’opera Geneva edition dei Principia di Newton si discuterà domani e sabato all’Università di Oxford, in occasione di un simposio internazionale organizzato per celebrare i duecento anni (1822-2022) dalla pubblicazione dell’edizione di Ginevra. Il convegno si propone di aprire un dialogo su nuove prospettive di ricerca interdisciplinare, con l’obiettivo di indagare gli studi di Newton e migliorarne la comprensione. Sarà così possibile condividere approcci innovativi all’esplorazione della storia della scienza, incoraggiando un maggiore coinvolgimento. Il progetto “Newton’s Philosophiae Naturalis Principia Mathematica Geneva Edition ([1739-1742]1822)” è curato dagli italiani Raffaele Pisano dell’Università di Lilla e Paolo Bussotti dell’Università di Udine. Entrambi saranno presenti al simposio, a cui parteciperanno anche Flavia Marcacci della Pontificia Università Lateranense, Elisa Belotti dell’Università di Bergamo e Fausto Grimaldi della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma.
«Newton nel libro terzo dei Philosophiae naturalis principia mathematica suppone che la Terra si muove. Se non si assume questo, le affermazioni dell’autore diventano incomprensibili. Noi, frati minimi Le Seur e Jacquier, non possiamo tacerlo. Ma dichiariamo di assumere un’altra posizione e restiamo fedeli al decreto del Sommo Pontefice contro il moto della Terra».
È questo il senso generale della declaratio con cui si apre la più importante edizione commentata dei Principia del fisico inglese Isaac Newton (1642-1727), ovvero dell’opera che stabilì la vittoria definitiva dell’eliocentrismo: il centro del sistema planetario doveva essere un punto in quiete e quel punto non era la Terra. Era il Sole. I Principia avevano avuto tre edizioni (1687, 1713, 1726). Della prima vennero stampate tra le 200 e 400 copie e ben presto non fu disponibile sul mercato. Seguirono le altre, con varie modifiche dell’autore ma sempre di ostica lettura.
Importante, in particolare, la seconda, arricchita dal famoso Scolio generale che Newton scrisse dopo aver corrisposto con il filologo e teologo Richard Bentley tra il 1692 e 1693. Questi, affascinato dai Principia, sosteneva che l’ordine e la bellezza del mondo dovevano essere il frutto di un «Agente intelligente e benevolo». Newton accolse questa provocazione. Il suo dio non era certamente il Cristo che entra nella storia e assume le sofferenze degli esseri umani per redimerle, ma un dio garante di ordine. Se da una parte questa immagine segnò profondamente la teologia naturale da lì in poi, d’altra parte il luminoso ordine matematico dei Principia strideva con la condanna del sistema di Copernico: la Terra mobile intorno al Sole è una proposizione filosoficamente assurda e formalmente eretica, aveva stabilito il Sant’Uffizio nel 1616.
Come conciliare la visione di un rigido dio ordinatore propria dei dotti del contesto anglicano con l’ingiunzione inflessibile delle gerarchie cattoliche? C’è chi non affrontò il problema teologico, ma lo lasciò sullo sfondo preferendo dedicarsi alacremente a spiegare il complesso sistema newtoniano. Newton ammetteva che alcuni risultati ancora parziali, come la teoria del moto lunare, lo costringevano a dimostrazioni molto articolate. L’impresa di un commento che rendesse più agile l’accesso all’opera fu vinta da due matematici francesi, nonché frati minimi, p. Thomas Le Seur (1703-1770) e François Jacquier (1711-1788). Soltanto tredici anni dopo la pubblicazione della terza edizione dei Principia, i due ne curavano una nuova, ampia-mente commentata. L’editore Jean Louis Calandrini (17031758), matematico ginevrino, era espressamente ringraziato dagli autori, per l’accuratezza degli interventi svolti.
Così, dal 1739 al 1742 a Ginevra l’opera era stampata in quattro volumi. Ne seguì una seconda edizione nel 1760, quindi una terza, stavolta a Glasgow nel 1822. Qui i tipografi collegarono i due frati agli ambienti gesuitici, così erroneamente l’opera fu detta Jesuit edition. Oggi si parla più correttamente di Geneva edition. I due frati, minimi della famiglia francese, erano noti per altri lavori su calcolo integrale, geometria e ottica. Insieme a Calandrini trasposero i metodi di Newton con chiarezza e trasparenza. Il commentario si rivelò uno strumento di trasmissione della nuova immagine del mondo e della nuova fisica estremamente efficace.
Non si lesinava alcun concetto tecnico e ogni dimostrazione era spiegata anche per i neofiti. D’altra parte, la profondità sublime del lavoro di Newton non poteva non lasciare stupefatti gli esperti: la legge di inerzia, la legge che lega forza e accelerazione, la legge di azione e reazione e soprattutto la legge di gravitazione universale offrivano gli strumenti per chiudere, almeno concettualmente, una controversia che era iniziata nel 1543, quando Copernico aveva pubblicato il De revolutionibus orbium coelestium. Nonostante la condanna delle implicazioni teologiche, basate su una supposta inconciliabilità di un modello eliocentrico con le Sacre Scritture, astronomi e filosofi della natura avevano continuato a cercare le prove “fisiche” del moto terrestre.
Queste tardarono ad arrivare e Newton, in particolare nel III volume dei Principia, non celava le difficoltà nello stabilire il centro del mondo. Pesavano i risultati, non trascurabili, sviluppati intorno alla soluzione di Tycho Brahe (1546- 1601), astronomo danese che aveva posto la Terra al centro del mondo con Sole e pianeti intorno a essa. Le Seur, Jacquier e Calandrini avevano intuito che la matematica di Newton aveva svelato una visione di natura ormai irrinunciabile. Nel 1822 usciva la terza edizione del loro commentario. Solo due anni prima a Roma papa Pio VII concedeva l’imprimatur agli Elementi di ottica (1819) del canonico Giuseppe Settele, in cui le prove fisiche del moto della Terra via via emerse nel corso di circa un secolo e mezzo venivano assunte per spiegare il modello eliocentrico. La condanna del 1616 era revocata, perché la tesi copernicana non presentava più difficoltà per la fede. La natura pensata e la natura creduta finalmente tornavano a convergere, segno evidente di come la scienza offra un servizio insostituibile alla fede.