Musica. Springsteen, i primi 40 anni di "Born to run"
Che ne è stata dell’innocenza perduta che ancora scorre intatta in Born to run? In che direzione è andata la poetica del rocker del New Jersey? Passi avanti o indietro (come credono i più inguaribili nostalgici)? Come inevitabile che fosse, i personaggi che affollano Born to run, sono cresciuti. Si sono scrollati di dosso i sogni. Hanno fatto i conti con l’eredità dei padri, sono entrati nelle fabbriche, hanno (in alcuni casi) smesso di correre, si sono sposati, hanno avuto dei figli, sono invecchiati, hanno scoperto il male, lo hanno commesso, vi si sono ribellati. Al mito (enfatico e auto celebrativo) Springsteen ha preferito la realtà. La corsa del vagabondo di Born to run, anni dopo, si sarebbe conclusa dietro le sbarre. La promessa illimitata della strada nella desolazione, nella solitudine, nella condanna. “Nessun posto dove andare/ nessun posto verso il quale correre”, sarebbe stato l’urlo liquidatorio di quell’altro inno che fu Born in the Usa. Ma quella è già un’altra storia.