Dibattito. I manuali scolastici non vanno buttati: sono una risorsa
Studenti impegnati nell'esame di maturità
La prima cosa che fanno molti studenti alla fine di ogni scolastico è quella di andare a vendere i libri di testo. In cambio di pochi euro, ci si sbarazza dei volumi su cui si è studiato (o non studiato) nel corso dei mesi precedenti. È anche – credo – una sorta di rito apotropaico: nell’imminenza delle sospirate vacanze, ci si vuole liberare, almeno per i mesi estivi, dello spettro della scuola. Quando insegnavo al liceo, esortavo i miei studenti a non farlo, a conservare cioè i manuali scolastici. Non solo perché di tanto in tanto sarebbe potuto tornare utile, negli anni successivi, andare a ripassare certe nozioni in essi contenute, ma soprattutto, in una prospettiva più ampia, per un’altra ragione: avere, più avanti nella vita, la possibilità di sfogliare nuovamente i libri di scuola equivale a un modo di rievocare una stagione della propria esistenza, quella trascorsa sui banchi. Qualcuno taccerà questa mia idea di sentimentalismo. Siamo nell’età del virtuale, della Rete, dell’intelligenza artificiale.
A che cosa serve archiviare tomi cartacei destinati a ricoprirsi di polvere? Eppure i manuali scolastici continuano a rivestire un’importante valenza culturale, anche perché in molte case sono gli unici libri a entrare. Peccato che le biblioteche non li custodiscano. Se va bene, si trovano nelle nostre case, magari relegati in un baule in soffitta oppure in cantina. Se non avesse avuto la possibilità di riprendere in mano le antologie di letteratura italiana sue e di sua madre, Paolo Di Paolo non avrebbe potuto scrivere la sua ultima, gustosa opera: Rimembri ancora. Perché amare da grandi le poesie studiate a scuola (il Mulino, pagine 240, euro 16,00). Ripercorrendo l’impostazione di quei manuali (i suoi, essendo lui nato nel 1983, sono quelli di una trentina d’anni or sono, quelli della madre risalgono invece a mezzo secolo fa), l’autore non può fare a meno di prendere le distanze da un’impostazione moralistica e parenetica, che vedeva nella lettura dei testi letterari a scuola un’occasione per suscitare buoni sentimenti nei discenti: «Letteratura come pedagogia, come allenamento alla virtù. Una palestra etica». Però è anche vero che quelle pagine hanno rappresentato, per la generazione di Di Paolo e per quelle precedenti, la prima, preziosa, insostituibile occasione per incontrare i grandi classici. Esse sono state il tramite per l’incontro iniziale con Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli, Gozzano, Ungaretti, Montale. Ciò accade ancora oggi ed è stato vero anche per chi della letteratura avrebbe poi fatto il proprio mestiere.
Di Paolo riporta una testimonianza di Mario Luzi: «Mi ricordo che nei miei anni di scuola avevo un libro, un’antologia di poeti del primo Novecento. I professori in classe non ce le hanno mai fatte leggere, anche perché non erano preparati. L’ho scoperto da me, innamorandomene. Credo che quel vecchio libro di scuola sia stato fondamentale per il mio avvicinamento alla poesia». Il libro di Di Paolo presenta i testi di alcuni celebri componimenti dei poeti che abbiamo citato sopra e li commenta dal punto di vista storico e letterario, ma sempre con un’attenzione alle risonanze prodotte da quei versi nella sua esperienza personale di giovane lettore. In quest’ultima si diramano gli echi di altre poesie, di autori e autrici del secondo Novecento, un’epoca che a scuola «è un corridoio che si percorre a passi svelti, quasi in corsa e comunque sempre un po’ in affanno», quando va bene nelle ultime settimane dell’ultimo anno delle superiori: da Andrea Zanzotto ad Amelia Rosselli, da Giovanni Giudici a Edoardo Sanguineti, da Giovanni Raboni ad Alda Merini. Per il lettore, il volume rappresenta un’opportunità per riprendere in mano le poesie dei tempi della scuola e per scoprirne di nuove sulla base delle intelligenti suggestioni proposte da Di Paolo anche sulla base del ricordo dei propri personali incontri con molti dei poeti contemporanei summenzionati.
La riscoperta in età matura di testi accostati per la prima volta da ragazzi equivale a un secondo incontro, che può essere quello decisivo, perché, con la consapevolezza data dall’età, si è in grado in grado di apprezzarli in tutta la loro bellezza e profondità, accendendo a livelli di lettura per forza di cose preclusi a un adolescente (nonostante tutta la buona volontà dell’insegnante che glieli spiega). Si scopre così che – scrive Di Paolo – «la poesia è un modo che abbiamo trovato per ricordarci di essere vivi». Sembra scontato, ma non lo è.