Intervista. Guglielmi: «Cara Rai, la storia sono io»
Angelo Guglielmi, giornalista, critico letterario ed ex direttore di Rai 3 oggi compie 90 anni
Oggi Angelo Guglielmi compie 90 anni e la sua è una lunga storia d’amore con la “cultura”, anche televisiva, di questo Paese. Una storia iniziata nel lontano 1955. «Mia madre ascoltando alla radio Il motivo in maschera condotto da Mike Bongiorno viene a conoscenza che la Rai ha bandito un concorso per autori e programmisti in vista dell’inaugurazione (prevista per quel maggio) della televisione italiana», racconta Guglielmi nel suo ultimo gustosissimo libro di “Racconti sparsi” – con tre saggi sull’amato Carlo Emilio Gadda – dal titolo Sfido a riconoscermi (Nave di Teseo. Pagine 168. Euro 19,00). L’allora giovane laureato in lettere all’Università di Bologna, e critico letterario militante – da quando era ventenne –, a Roma a quel concorso si presentò assieme ai due fratelli: «Giuseppe, il più creativo e brillante» e «Guido il più intelligente e il più colto». Al termine della selezione si venne a sapere che «un Guglielmi» era nella lista dei 40 vincitori del concorso Rai e gli altri due fratelli gli comunicarono: «Sei tu Angelo, il più concreto». Da lì comincia una straordinaria carriera («in cui gli inizi per me sono sempre stati duri, perché manco di simpatia immediata») che l’ha visto «fare mille mestieri, dal giornalismo alla politica, e beneficiare per sessant’anni di stipendio mensile». È stato professore per due anni «con poco piacere anche per gli studenti», per «quarant’anni in Rai, sei anni nel cinema come presidente dell’Istituto Luce e cinque da assessore alla cultura del Comune di Bologna, sotto il sindaco Sergio Cofferati». Ma nella storia della televisione pubblica il nome di Guglielmi è sinonimo di “sperimentalismo”, pari a quello vissuto nelle patrie lettere tra i fondatori del Gruppo ’63 e di “rivoluzionario” dei palinsesti, nel settennale d’oro 1987-1994, quello della sua direzione a Rai 3. Guglielmi, lei è considerato un “maestro” in tutti i campi in cui ha lavorato, ma i suoi maestri chi sono stati?
Quando ho fatto letteratura, determinanti sono stati Luciano Anceschi e Roberto Longhi. Quando ho fatto giornalismo e soprattutto televisione, mi perdoni, non è per vanagloria, ma non avevo modelli a cui ispirarmi: nel senso che non mi convincevano e ho dovuto avventurarmi in azzardi, scoprendo poi capacità che avevo ma di cui non prevedevo i punti di eccellenza toccati, e riconosciuti dagli altri.
Nel 1987 chi l’ha voluto più fortemente a capo di Rai 3?
È stato Walter Veltroni, al quale rico- nosco essere un grande politico, un uomo che amava coloro che riteneva degni e intelligenti, un autentico esperto e attento conoscitore di televisione e di cinema. Veltroni è anche uno scrittore, per così dire, per “forza”, in quanto spinto dalla contingenza e dalla sua ricca cultura e genialità.
Un genio ribelle nella sua Rai 3 è stato “Il Portalettere”, Piero Chiambretti.
Chiambretti è una sorta di Ariel della Tempesta di Shakespeare, un piccolo folletto le cui arti di leggerezza e di magia è costretto a metterle al servizio di coloro di cui è a servizio, non sempre, anzi raramente, condividendo le imprese che è incaricato di realizzare...
Ma le piace anche il Chiambretti conduttore di CR4 - La Repubblica delle Donne (andato in onda su Rete 4)?
Qualunque cosa faccia Chiambretti conserva sempre il tocco della sua magia. Certo, Il portalettere apparteneva a un momento meno angusto e costrittivo del presente e il suo inseguire gli statisti e i cardinali che gli sfuggivano nelle straducole di Roma. Dicono che Pasolini sia stato il primo a mettere in crisi gli “inciuci” della politica, io invece dico che quello di Chiambretti, grazie alla forza del linguaggio televisivo, è stato il primo vero straordinario modo di scoprire il “di dietro” del Palazzo.
Lei con Samarcanda mandò in onda il primo vero talk show politico. Ritiene sia un format rimasto insuperato assieme al suo conduttore Michele Santoro?
Assolutamente sì. Samarcanda lo programmammo su Rai 3 al giovedì e Santoro si presentò subito come un grande concertatore (lo studiava perfino la Bbc) e quelle erano puntate che ricordavano più le messe in scena epiche, che è più facile trovare nei libri che sui palcoscenici televisivi. Non è un caso che l’unico talk show politico ancora sopportabile sia Piazzapulita del suo allievo Corrado Formigli.
A trent’anni di distanza dalla prima messa in onda, come se lo spiega il successo di Chi l’ha visto?
Stiamo parlando dell’unico programma che non nasce nelle testa della rete (Rai 3) ma gli è stato suggerito dalla “Domenica del Corriere” che, per decenni, alla domenica proponeva una copertina a colori con la scritta “Chi l’ha visto”, e in grande, la fotografia dello scomparso. Anche il nostro Chi l’ha visto? sono sicuro che durerà per molti altri anni ancora.
È passato su Rai 2, ma anche Quelli che il calcio... è una trasmissione della Rai 3 a firma Angelo Guglielmi.
La struttura base di Quelli che il calcio... mi fu proposta dal giornalista sportivo Marino Bartoletti, poi con Fabio Fazio, superate certe nostre improprie incertezze, divenne il programma straordinario che è stato, in cui per la prima volta Fazio mostrò il suo grande talento, poi confermato fino a oggi in tante altre trasmissioni.
Quanti nemici si fece con quella “Terza Rete” Rai così originale e ultracreativa?
Non avevo nemici, solo qualche invidioso... Con Giorgio Strehler ebbi uno scambio di lettere – peccato siano andate perdute – in cui mi contestava il fatto di avere rinunciato a trasmettere il teatro in tv. Io gli replicavo che non trasmettevo nemmeno cinema o letteratura, convinto che appartenevano a discipline artistiche che potevano essere realmente apprezzate solo nelle loro sedi naturali...
La Rai 3 guglielmiana dai detrattori era chiamata “Telekabul” e gli stessi dissero che nel ’94 eravate i veri responsabili se il Paese era finito in mano a Silvio Berlusconi.
Un’accusa impropria, per noi cretina. Rai 3 e “Mani pulite” furono accusate di avere aiutato – per i più “determinato” – la sconfitta democratica del’94: la prima per l’uso di un linguaggio ironico e beffardo, l’altra per il suo oltranzismo. Berlusconi poi voleva che io andassi a Mediaset, incontrai anche Confalonieri, ma non mi pare che la storia della televisione oggi parli di una mia direzione nelle reti del Cavaliere...
Lei divide i giornalisti in «grandi giornalisti e grandi direttori giornalisti». Ma il vero “grande direttore” per lei chi è?
Sandro Curzi, il quale in genere non veniva considerato un grande giornalista ma è stato il grande direttore del mio Tg 3. Di bravi direttori ne troviamo anche oggi, per esempio Carlo Verdelli che ha trasformato in un solo giorno il volto di Repubblica come fece Ottone con il Corriere della Sera.
Una delle sue “creature”, Carlo Freccero, da neodirettore ha detto che «in un anno cambierà il volto di Rai 2 e poi lascerà».
Di Freccero ho detto più volte che sa più parlare che fare.
Maria De Filippi dice invece che nella tv odierna «manca un programma sui libri in seconda serata» tipo il vostro Pickwick.
Ritengo Maria De Filippi la più brava conduttrice televisiva ma totalmente inconsapevole di lettura e di libri. Corrado Augias e Alessandro Baricco che hanno portato i libri in tv sono due straordinari “divulgatori editoriali”. Lo stupore allora fu che i più numerosi ascoltatori di Pickwick, condotto da Baricco, erano ragazzi e giovani che come si sa non leggono libri.
Oggi che genere di tv guarda?
Non vedo più la tv, escluse le partite di calcio. Del resto, quello che è ancora guardabile è ciò che è rimasto della mia vecchia Rai 3 e della più antica Rai: Mentana, Minoli, Gad Lerner, Un giorno in Pretura, Chi l’ha visto? i Guzzanti, la Tv delle ragazze, ritorno al quale io non credevo e invece è riuscito.
Da ex presidente dell’Istituto Luce qual è lo stato di salute del cinema italiano?
È mal messo. Fanno eccezione Garrone, per la genialità, e Sorrentino per il talento. Ma è mal messa anche la narrativa, fatta eccezione per la poesia. Sta male anche la musica cosiddetta “seria”, le arti visive e la pittura. Galleggiamo in un vuoto di cultura viva dal quale uscire sembra impossibile È già capitato in altre epoche storiche e ne siamo usciti solo dopo eventi catastrofici. Che sia questo anche il nostro destino di contemporanei?