Anniversario. I 200 anni di Antonio Canova, la mistica che sfida il marmo
La scultura della Maddalena da poco riscoperta a Londra
Oggi sono duecento anni esatti dalla morte di Antonio Canova. Il Museo Civico di Bassano del Grappa gli dedica una mostra, che inaugura sabato (fino al 26 febbraio), per celebrarne il 'genio europeo' con 140 opere fra gessi, marmi, terrecotte, disegni, incisioni, dipinti, e vari addenda di altri artisti, per esempio quelli che erano nella sua collezione personale.
La mostra, come già quella di Napoli nel 2019, su Canova e l’antico, è curata da Giuseppe Pavanello, affiancato da Mario Guderzo e Barbara Guidi. In una sorta di open space trilobato, la mostra si riparte in tre sezioni dedicate a “L’uomo e l’artista”, “Canova e l’Europa” e “Canova nella storia”. L’allestimento ordinato e diviso in nuclei intesi come veri insiemi di spazi e temi, consente di cogliere a colpo d’occhio il cuore del discorso sulla formazione di Canova, la sua celebrità in Europa e infine il ruolo “politico” che ebbe quando si adoperò, su richiesta di papa Pio VII, per far rientrare dalla Francia le opere trafugate da Napoleone ma anche quando si recò a Londra chiamato a esprimersi sui marmi del Partenone arrivati da un altro celebre trafugamento, quello messo in atto nel 1812 da Lord Elgin (con il benestare della Sublime Porta).
Da un po’ di tempo ci si ritrova a leggere comunicati stampa e cataloghi che iniziano con l’excusatio – un po’ ipocrita – non petita delle opere richieste ma non concesse dalla Russia (siamo uno dei Paesi che sta inviando armi in Ucraina e, volenti e nolenti, a nostro modo partecipi di questa guerra e dunque causa noi stessi di mancati prestiti di cui non ci si può meravigliare). In questo caso, però, va detto che i marmi dell’Ermitage, non presenti in questa mostra a larga prevalenza di gessi, oltre vent’anni fa arrivarono a Venezia freschi di restauro e fecero sobbalzare tutti per la “bomba al fosforo” con cui i restauratori russi li avevano trattati quasi che avessero applicato alle sculture il celebre slogan pubblicitario che «più bianco non si può». Veniva da piangere pensando ad Amore e Psiche ridotto a ectoplasmica evanescenza, quasi un passaggio nella candeggina. Li avevamo però rivisti nel 2019 a Napoli, e per quanto balsamico il tempo aveva attenuato ben poco quel danno irreparabile (oltre allo sporco vennero cancellate le patine e gli “arrossamenti” con cui Canova era solito trattare i suoi marmi, soprattutto quelli femminili, per esempio le Maddalene). Ce ne faremo dunque una ragione.
Da Londra è in arrivo invece il pezzo forte della mostra, la Maddalena giacente ritrovata un annetto fa a Londra in un giardino privato dove dormiva la pace dei sensi da quasi due secoli senza che nessuno se ne fosse accorto (in catalogo vi si sofferma Guderzo). Mentre scrivo è ancora ferma per la burocrazia doganale, ma certo bisognerà porre sul marmo lo sguardo attento che serve quando si affronta una scultura di Canova restaurata, com’è anche questa. A vederla in foto sembra molto bella: manca gran parte dello stipes, il legno verticale della croce che scendeva sul lato destro, evidentemente staccato e perduto in questi due secoli; forse si tratta di uno dei marmi distesi che Canova aveva realizzato negli ultimi anni di vita, poi portati in Gran Bretagna dopo la sua morte.
Vittorio Sgarbi, presidente del Comitato nazionale per le Celebrazioni e fresco autore di un libro sullo scultore di Possagno edito da La nave di Teseo (Canova e la bella amata, pagine 232, euro 16,00) nella sua breve nota ufficiale scritta per il catalogo edito da Silvana, parla di «misteriosa latitanza». In effetti, è uno di quei “casi strani” che si presentano ogni tanto quando riemerge un’opera sconosciuta di un grande artista e tutti basiti ci domandiamo com’è possibile che nessuno se ne fosse mai accorto prima? Basterebbe quella posa di mistica conturbazione, vera e propria “forma simbolica” ovvero, direbbe Warburg, di pathosformel canoviana che unisce erotismo e melancolia nel languore del corpo di Maddalena: qui avrei pochi dubbi che nella mente di Canova la figura – una delle tre che, secondo la personalità multipla messa in luce dalla tradizione cristiana, ricadono nel personaggio di Maddalena – non sia tanto la donna liberata dai demoni né Maria di Magdala, caso mai sarebbe quella che coi lunghi capelli dorati, di un amore quasi canino (e penso a un quadro del Moretto con Gesù in casa del fariseo, dove la Santa ha lo sguardo della lupa che difende il suo bene), asciuga i piedi di Gesù; e di questo dà prova proprio la posa melanconica anche nella scultura distesa londinese.
In ogni caso, lo sconcerto rimane: ci sono voluti due secoli per capire che quella posa e quel marmo così ispirato fosse di Canova? Facile, naturalmente, stupirsi. Sempre un anno fa andò in asta a Madrid un Ecce Homo, poi attribuito da vari storici a Caravaggio, posto in vendita, come dicono alcuni, «per una pipa di tabacco»; subito ritirato è stato rivalutato decine di milioni di euro, i proprietari – tra l’altro assidui tutti in faccende artistiche – lo avevano in casa da decenni se non da secoli, e non si erano mai accorti di possedere un quadro notevole. Possibile? Ma tant’è.
Per Canova però le cose stanno un po’ diversamente: sul “nuovo Fidia” era caduta dopo la morte la dimenticanza e nel Novecento anche la perfidia della critica. Il gioco di parole è assai pertinente se si ricorda la scomunica di Roberto Longhi che nel Viatico dava l’estrema unzione, così la definì Giuseppe Fiocco, alla pittura veneziana prendendo dentro anche Giorgione e Tiepolo, e per quanto riguarda Canova scrisse: «lo scultore nato morto, il cui cuore e ai Frari, la cui mano e all’Accademia e il resto non so dove». Sul povero Canova, che in un disegno si ritrae frontalmente, semplice e dimesso, seduto su una sedia, le gambe accavallate sulle quali tiene il libro degli schizzi, infierirà durevolmente quella scomunica, se è vero che ancora trent’anni fa uno storico medievista, che non cito perché mi è molto caro, lo definì uno «scultore per pisciatoi».
Troppo anche per certe toscanate, ma è pur vero che qualcuno aveva considerato Canova il principe neoclassico dell’arte “cimiteriale”. E di monumenti funebri ne aveva fatti più d’uno. Chissà se, proprio nel secolo “francese” delle arti, non abbia pesato nella dimenticanza invece il revanscismo di chi lo vide farsi tramite “politico” delle ricordate restituzioni che privarono il Louvre di tante opere somme? I francesi, si sa, vogliono sempre rifarsi per le umiliazioni subite. Fu necessario che qualcuno, alla scuola di Totò, proclamasse ai quattro venti: «Vota Antonio, Vota Antonio, Vota Antonio».
Alla terza arrivò Argan che tentò l’operazione “metalinguistica”. Perfetto tempismo, pochi anni dopo iniziò il postmoderno. E la rinascita di Canova. Si cercò di eleggerlo campione del gioco sull’antico, tra ironia e kitsch cerebrale, che ne fa una sorta di scultore-idea, un concettuale elegante e tragicamente ludico, un araldo dell’estetica nichilista; ma per Argan era, la sua scultura, un’espressione profondamente “storica”, la reazione còlta – la biblioteca di Canova comprendeva infatti oltre a una cospicua scelta di autori classici, come ricorda Stefano Pagliarani, ma anche autori “proibiti” come Marziale e Catullo, e va almeno ricordata tra quelle “moderne” l’Hypnerotomachia Poliphili nell’edizione 1499 –, e quindi critica verso l’epoca napoleonica, con cui d’altra parte aveva flirtato, e al superomismo maschilista ammantato di estatico femminino.
Questa mostra di Bassano dice – ancora una volta, dato che negli ultimi anni allo scultore ne sono state dedicate varie (l’ultima, qualche mese fa a Treviso nel Museo Bailo) – che Canova è mentale più che concettuale, e sarei pronto a sfoderare la polemica fra mente e cervello che domina i cultori delle neuroscienze, ma sarà per un’altra volta; il suo spirito cerca la perfezione del marmo, che però spesso con suo disappunto lo tradiva tirando fuori le venature grigiastre, come in abbondanza trasudano nella scultura della Principessa Esterházy, in prestito dal Palazzo omonimo di Eisenstadt; in realtà, Canova trasfigura la mistica più carnale, sotto una patina quasi “cosmetica”.
I tempi sono cambiati, così se lo spirito contemporaneo della tutela dei Beni culturali fa di Canova un precursore, come usa dire oggi, dei Monument man, un modello eroico nella difesa del patrimonio, chissà che l’artista su cui cadde, come ricorda Barbara Guidi nel catalogo, la totale dimenticanza, invece non torni a essere non il «primo artista d’Europa» del suo tempo, ma qualcosa di diverso anche dall’artefice puro del Neoclassicismo (come fu John Flaxman, e certo oltre l’interpretazione di Winckelmann). Canova, pare evidente anche dai suoi bozzetti in terracotta, estremamente vitali e purtroppo in mostra rari, costituisce una sorta di “ponte” che apre all’arte romantica: Géricault, senza amarlo, ne era informato, morì due anni dopo di lui, trentatreenne, ma nei percorsi di formazione lo aveva meditato; e se Ingres lo guardò, tuttavia il suo legame col classico è di segno ben poco estatico. La mostra di Bassano forse avrebbe dovuto dare un contributo specifico indagando con più decisione proprio questo crinale storico che sicuramente renderebbe a Canova un contesto europeo più solido nel quale specchiarsi anche per la considerazione critica, magari mettendo tutto in relazione al suo gusto nella scelta delle opere che acquistò per la propria collezione, di cui Pavanello, attingendo agli archivi, ci offre un riepilogo essenziale degli artisti e delle opere.
Il bicentenario nella sua Possagno
Possagno, il paese natale di Canova oggi in provincia di Treviso, celebra il bicentenario del suo figlio più illustre con un calendario di iniziative, promosso dal Museo Gypshotheca, dalla Fondazione Antonio Canova e dal Comune, esteso su più giorni. Oggi alle 7.43, l’ora esatta della morte di Canova, si terrà una Messa al Tempio Canoviano officiata da Pierangelo Salviato; seguirò un’apertura straordinaria del Museo e, alle 18, dalla presentazione del francobollo e della moneta realizzati per l’occasione. Chiuderà la giornata, alle 20.45 al Tempio, il concerto Antonio Canova dicatum con la Venice Monteverdi Academy e l’Orchestra Lorenzo da Ponte; direttore Roberto Zarpellon. Sabato, alle 19 e alle 21, sarà proiettato il docufilm Cor Canovae. Il restauro del Monumento dei Frari sui lavori al cenotafio di Canova a Venezia, presso il Museo; domenica alle 11 una Messa al Tempio sarà officiata da Michele Tomasi, vescovo di Treviso, con musiche eseguite da Luca Giardini al violino e da Filippo Pantieri al clavicembalo e dalla Corale parrocchiale di Possagno. A seguire, alle 12.30, avverrà la restituzione della Casa natale di Antonio Canova, dopo i lavori di restauro e di riqualificazione; chiuderà la giornata, alle 18.30, la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi presso il Tempio e la proiezione del video Canova, la sua musica e la sua danza, realizzato in collaborazione con Contemplazioni e Luca Giardini. Per informazioni, museocanova.it. Anche la Fondazione Musei Civici di Venezia celebra la ricorrenza con tre iniziative, tutte presso il Museo Correr: ieri si è tenuta la lectio magistralis di Giuseppe Pavanello; dal 29 ottobre apriranno la mostra 'Canova e Venezia 1822-2022. Fotografie di Fabio Zonta' e l’esposizione 'Le medaglie canoviane'.