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Paleontologia. Homo Naledi: una nuova ricerca smonta la tesi sulle sepolture

Luigi Bignami venerdì 16 agosto 2024

Uno schelettro di Homo naledi e centinaia di altri frammenti rinvenuti nella “grotta delle sepolture”

Era il 2015 quando iniziava a diffondersi l’ipotesi rivoluzionaria in ambito archeologico, avanzata da Lee Breger dell'Università del Witwatersra, circa la possibilità che una specie di Homo, l’Homo naledi, vissuto molto prima dell’Homo sapiens, seppelliva con cura i propri morti. Se l’idea fosse stata confermata, avrebbe significato che le sepolture precedevano di almeno 100.000 anni le prime manifestazioni di questo tipo attribuite al sapiens e con ciò anche gli aspetti filosofici/religiosi legati alle sepolture. È per questo che vi fu un vero clamore quando, nel giugno del 2023, Breger, in una conferenza alla Stony Brook University di New York, portò quelle sembravano prove inequivocabili a favore di quello che egli ipotizzava. Ma da allora molti ricercatori hanno cercato in tutti i modi di approfondire tali risultati e a oggi, in realtà, si sono accumulate numerose prove che risultano contrarie all’ipotesi di Breger.

Per meglio inquadrare il complesso argomento, va ricordato che lo scienziato basò le sue idee su quanto scoperto nel sistema di grotte Rising Star in Sudafrica, che contiene i resti di un numero insolitamente elevato di individui della specie di ominine Homo naledi, vissuti circa 300.000 anni fa. Come si spiegavano i resti di un così gran numero di naledi in quelle grotte se non ammettendo che vennero lì deposti dopo la loro morte? Ma non era solo il gran numero di ossa presenti ad aver fatto avanzare l’idea della sepoltura, ma anche la loro peculiare deposizione che poteva essere interpretata come voluta da chi vuole disporre con cura propri simili dopo la loro morte. Tra l’altro le ricerche di Breger sembravano dimostrare che le fosse in cui vennero deposti gli individui deceduti furono appositamente scavate, insomma vi sarebbero stati dei veri e propri atti sociali che dimostrerebbero riti concreti di sepoltura.

Ora, un gruppo di ricercatori guidato dall'antropologa Kimberly Foecke della George Mason University ha eseguito una nuova analisi di tali risultati e ha scoperto che le conclusioni raggiunte da Berger e dai suoi colleghi sono insostenibili sulla base delle prove disponibili. “Abbiamo trovato profondi problemi strutturali con l'analisi dei dati, la visualizzazione e l'interpretazione, oltre alla caratterizzazione errata e all'applicazione non corretta dei metodi statistici nella valutazione dei dati. Dimostriamo che anche se i dati forniti rappresentano accuratamente la composizione dei campioni, quando analizzati secondo gli standard archeologici, gli stessi dati non supportano le interpretazioni, le conclusioni e le affermazioni fatte dagli autori”, scrivono Foecke e i suoi colleghi nel loro articolo sulla rivista scientifica PaleoAnthropolgy.

Ricostruzione del cranio di un bambino di Homo naledi attraverso parti ritrovate (quelle più chiare) - Wits University

La scoperta di Berger, in realtà, era stata contestata fin dall'inizio. Il paleoantropologo, che non è estraneo a controversie, era stato accusato di sfruttare il sistema di pubblicazione utilizzato dalla rivista eLife in cui è apparso l'articolo, che consente a ricercatori di proporre proprie scoperte senza una “revisione paritaria”, ossia senza che qualcuno di pari livello scientifico ne analizzi i dati per verificare se non vi siano errori o addirittura dei falsi. In seguito a tali critiche Breger elaborò una parte dei suoi studi in un articolo sottoposto a revisione paritaria e i risultati della revisione sostennero che le prove da lui citate a sostegno delle pratiche funerarie erano insufficienti per giungere a conclusioni così straordinarie come quelle proposte dal ricercatore. Ma poiché le conclusioni della ricerca di Breger sarebbe davvero rivoluzionarie e straordinarie Foecke e i suoi colleghi hanno voluto esaminare ulteriormente e attentamente il documento del team del ricercatore cercando anche di replicare i risultati sperimentali che Berger afferma di aver ottenuto e poi, infine, hanno valutato se l'acquisizione dei dati seguisse o meno gli standard stabiliti dalla scienza in questo settore. Ebbene in tutti gli ambiti Foecke ha dimostrato che il lavoro di Berger e dei suoi colleghi era ben lontano dal soddisfare gli standard necessari a supportare le conclusioni del rapporto.

Il team di Berger, ad esempio, aveva analizzato campioni di terreno nella grotta, studiandone la composizione chimica e la granulometria, giungendo alla conclusione che il terreno sopra i resti sepolti era diverso da quello sottostante. Foecke e il suo team nell’analizzare questa parte della ricerca hanno scoperto che la descrizione di questo processo nel documento da loro steso non conteneva dettagli importanti dell'analisi del suolo, rendendo poco chiaro il metodo di acquisizione dei dati. Ancor più importante, Foecke e i suoi colleghi non sono stati in grado di replicare i risultati. La loro analisi del suolo non ha mostrato alcuna differenza significativa tra il materiale presente sui corpi e quanto esistente nel resto della grotta.

Ciò non significa che certamente l'Homo naledi non seppellisse i propri morti, ma semplicemente al momento non si hanno prove sufficienti per sostenere che lo facessero, il che rende un numero crescente di scienziati dubbiosi sulle affermazioni a sostegno di tale ipotesi. Il geochimico Tebogo Makhubela dell'Università di Johannesburg, membro del team di Berger, concorda sul fatto che alcune critiche siano giuste, come ha detto a Michael Price su "Science". Afferma che il documento che era stato steso è ben lontano dall’essere definitivo e che il team sta lavorando a revisioni. Tuttavia, si può ragionevolmente sostenere che tali “revisioni” debbano essere apportate prima che un pezzo di ricerca raggiunga la fase di pubblicazione. Afferma Foecke: “Spero che questo lavoro riesca a instillare un po' di scetticismo nel pubblico nei confronti della ricerca archeologica che emette verdetti di tale importanza ancor prima di aver verificato ogni singolo punto”.

Ora forse, sarebbe necessario anche una revisione del lavoro di Breger circa i petroglifi che, sempre stando al ricercatore, vennero trovati sulle pareti della grotta di Sterkfontein, in Sud Africa, che dimostrerebbero un’elevata capacità cognitiva del naledi, nonostante il piccolo volume di quel cervello. I petroglifi scoperti furono incisi da un naledi? La risposta è d’obbligo.