Tv. Cinquant'anni di “Happy Days”. Perché siamo stati davvero felici
I protagonisti di Happy Days
Il 15 gennaio del 1974 l’emittente americana Abc, alle ore 20, mandava in onda la prima puntata della sit-com Happy Days. Una serie televisiva destinata a diventare di culto, con oltre 500 milioni di fedelissimi telespettatori sparsi nel mondo che non si sono persi neppure una delle 255 puntate. Da noi Happy Days è arrivato nel 1977 e per dirla con le parole del fan Renzo Arbore l’Italia scoprì «il diritto alla risata». Per la generazione dei ragazzi degli anni ’70-’80, quel telefilm trasmesso su Rai 1,sempre alle 19.20, divenne una coperta di Linus che riscaldava i cuori di tutta la famiglia riunita davanti al televisore. Quell’atmosfera da focolare domestico acceso sulla tv – in bianco e nero – l’hanno ricostruita magistralmente Emilio Targia, caporedattore di Radio Radicale e Giuseppe Ganelli, il collezionista da Guinness dei primati per tutto ciò che concerne l’universo Happy Days. L’hanno fatto nelle 500 pagine di un libro imperdibile, La nostra storia - Tutto il mondo di Happy Days (Minerva). Uno scrigno di curiosità, interviste a tutti i protagonisti di quella saga familiare ambientata intorno alla casa dei Cunningham: i coniugi Howard e Marion e i loro due figli, Richie e Joanie e i loro amici, i collegiali Potsie, Ralph, più il “don Giovanni” dal chiodo di pelle nero, il meccanico motorizzato Fonzie.
Un fenomeno da 15 milioni di telespettatori in Italia. «Una funzionaria Rai, Bruna Cossaro, aveva scommesso su questo esperimento pilota, un prodotto americano, ma molto rassicurante, sorridente, che aveva la funzione di “cerniera” tra il pomeriggio della Tv dei ragazzi e il serale, a ridosso dell’Almanacco del giorno dopo che anticipava il Telegiornale delle 20. E fu una scommessa stravinta» spiega Emilio Targia che con Ganelli ha analizzato a 360° le ragioni di un successo planetario. «Si tratta di un’alchimia, una pura magia che dipese da molti fattori.
Una produzione forte e creativa, quella di Garry Marshall, un genio di Hollywood capace di replicare quel successo con film da record di incassi come Se scappi ti sposo o Pretty Woman. Nel suo staff poteva contare su degli autori eccellenti e un cast di attori perfetti, i cui ruoli vennero cuciti su misura. E poi gli Stati Uniti, ma un po’ tutto il mondo occidentale, aveva bisogno in quel momento storico di un aggancio con gli anni ’50». La parola chiave della sit-com è «credibilità».
Ci sono puntate in cui tutti i protagonisti intervengono contro il bullismo e il razzismo. E il Natale di Fonzie in casa Cunningham è il simbolo dell’accoglienza verso il «sano ribelle». Valori che dall’America vennero rilanciati in Europa, dove fu “happydaysmania”. «Nessuno immaginava che la serie sarebbe andata in onda ininterrottamente per undici anni. Frutto di una richiesta internazionale che trovò un’accoglienza entusiasta oltre che negli Usa anche in Francia e Italia. In Spagna invece non ebbe lo stesso clamore» spiega Targia. Ma ovunque, a cominciare dal ragazzo modello Richie ogni singolo personaggio della serie divenne un idolo. «Ron Howard (Richie) fu quello che più di tutti dopo qualche stagione soffriva un po’ il ruolo. Sognava già di fare il regista e scalpitava. Marshall risolse il problema mettendolo qualche volta dietro la camera da presa.
Esperimento che fece anche con gli altri attori, ai quali per evitare che si montassero la testa per il grande successo che stavano vivendo ricordava: «Occhio che le luci di Holly-wood si accendono e si spengono in fretta, perciò imparate anche un altro mestiere oltre a recitare». Tom Bosley (Howard) e Marion Ross (Marion) che erano già degli attori navigati hanno proseguito la loro carriera e i giovani li hanno seguiti.
«Anson Williams (Potsie) ha recitato in altre serie tv e molte le ha dirette, Don Most (Ralph) fa il crooner, Henry Winkler (Fonzie) recita ancora consuccesso ed è testimonial importante della lotta alla dislessia. E che avesse uncarisma nazionalpopolare si capì quando in una puntata di Happy Days entrò nella Biblioteca di Milwakee per chiedere un libro e da quel momento i giovani americani cominciarono a leggere di più». Solo Richie ha smesso di recitare per diventare un regista da Oscar: nel2000 ne ha vinti due (miglior regia e miglior film) per A Beautiful Mind. L’unica a non aver beneficiato fino in fondo del grande successo di Happy Days è statala sorellina di Richie, Joanie, l’attrice Erin Moran, scomparsa nel 2017. «Nel libro abbiamo inserito un suo scritto autografo.
Erin non aveva una famiglia alle spalle e l’aveva trovata in Happy Days. Finita la serie era finita nell’alcol e quando poi ne era finalmente uscita, ad ucciderla, a 57 anni, è stata una brutta malattia». I fan di Happy Days non l’hanno mai dimenticata, così come impararono a conoscere prima degli altri i talenti di Robin Williams e Tom Hanks. «Robin Williams fece il suo primo provino con Marshall mettendosi a testa in giù sul divano e facendo finta di bere con un dito. Era la prefigurazione del marziano Mork della fortunata serie successiva Mork e Mindy in cui esplose definitivamente. Tom Hanks fece un ingresso memorabile nella storia di Happy Days, fu ’unico a dare una manata all’intoccabile Fonzie».
Targia e Ganelli dialogheranno presto dal vivo a Los Angeles con Fonzie e tutto il cast in occasione della mostra che verrà allestita all’Hollywood Museum con la collezione di Ganelli, nell’ambito della quale verrà presentato anche il loro libro, il primo al mondo a raccontare la storia della sit-com. Il mito continua.