La mostra a Milano. Maurizio Cattelan e il totem oscuro delle Torri Gemelle
Maurizio Cattelan, "Blind", 2021. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano.
Ci sono diverse versioni su cosa avrebbe detto Karlheinz Stockhausen sull’attentato alla Torri Gemelle: “un capolavoro cosmico”, “la più grande opera d’arte possibile in tutto il cosmo” o ancora “il capolavoro di Luzifer”. Il suo discorso, semplificato dai media, scatenò indignazione. Parole incomprensibili per una società stordita dallo choc. Ma a distanza di venti anni appaiono più chiare: l’attentato dell’11 settembre è stata un’operazione così assurdamente “grandiosa”, così curata nei dettagli e perfettamente eseguita, pensata interamente in funzione della sua dimensione visiva – consapevole delle regole dell’estetica della società di massa – e così caratterizzata dalla dimensione sacrificale da apparire come una performance rituale di impatto planetario.
La distruzione del World Trade Center non è stato un semplice attentato: nella sua dimensione collettiva, portata su una scala impensabile, tanto nell’attuazione quanto nella ricezione (verrebbe da dire persino “contemplazione”) investe il campo del rito, nella sua accezione più cruenta e ancestrale. E nel sacro deve essere ricondotto per essere compreso ed elaborato.
Le affermazioni di Stockhausen devono essere rimaste nella testa di Maurizio Cattelan, che l’11 settembre 2001 era a New York. A quell’evento dedica ora una installazione all’Hangar Bicocca. Figura divisiva, giudicato senza mezzi termini genio o cialtrone, Cattelan questa volta lascia da parte la sfrontatezza che lo ha sempre contraddistinto e organizza un percorso in tre tempi che ha a che fare con l’inesplicabile e la violenza che il sacro porta con sé. Gli enormi spazi che furono dell’Ansaldo sono, come vuole la retorica, una “cattedrale del lavoro” e sulla falsariga di un tempio, dotato di un atrio/nartece, una navata (così è per altro denominato il grande ambiente longitudinale) e una cella, Cattelan imposta il percorso.
Nel vasto buio della “Piazza”, la prima tappa, colloca una misteriosa figura bianca, sdraiata e di schiena: scopriremo solo avvicinandoci (una strategia usuale in Cattelan) che sono due. Sembrano dormire. L’uomo è in posizione fetale, davanti a lui un cane pare condividerne il respiro. Piccole figure in una oscurità senza confini. Ci si incammina allora nella navata, un lungo corridoio ritmato da pilastri d’acciaio. Sembra vuoto ma ovunque sono appollaiati piccioni imbalsamati, riattuazione di storiche installazioni dell’artista, presenze inquietanti (l’immaginario cinematografico è chiaro) e incombenti. In fondo oltre un varco nel muro c’è una stanza in piena luce, il Cubo (dalla forma del volume), al cui interno si vede un blocco nero. È un ambiente che funziona come la tribuna in una chiesa rinascimentale: già Boltanski aveva individuato la possibile articolazione in senso simbolico-sacrale di questo spazio, abitato da un divino simile a un cieco fato. Il blocco nero che si mostra a poco a poco è un monolite nero (ancora cinema) attraversato dalla sagoma nera di un aereo.
Non è la prima volta che Cattelan affronta il problema del sacro. Lo ha fatto a modo suo nella La nona ora, la celebre e contestata immagine di Giovanni Paolo II travolto da un meteorite. L’enorme scultura nera, ingombrante nella cella chiara, nella sua opacità è l’ipostasi di un interrogativo. L’orrore – l’indicibile per eccellenza – ha un suo fascino, una sua perfezione? Quella sul male non è forse una domanda sul suo fascino: la sua “bellezza”? Cattelan si concentra sul gesto e sulla sua forma come si è visivamente solidificata nella coscienza collettiva. La chimera che fonde per sempre assieme distrutto e distruttore è un totem verso il quale provare un misto di paura e attrazione. Il Moloch dell’11 settembre.
Milano, Pirelli HangarBicocca
Maurizio Cattelan Breath Ghosts Blind
Fino al 20 febbraio