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MUSICA E MEMORIA. «L'Händel perduto scoperto dall'Italia»

Andrea Pedrinelli sabato 19 novembre 2011
Una prima mondiale nella discografia classica è sempre una bella notizia: specie se parliamo di una partitura del primo 700 intitolata "Concerto doppio di signor Handel". Ma la prima incisione di tale perduto spartito è notizia ancora più bella, in questi tempi grami, giacché tutto nasce in Italia. La partitura è stata infatti scoperta a Kiev da un italiano (il virtuoso dell’oboe Simone Toni); è stata studiata in Italia; venne eseguita dal vivo per la prima volta a Milano nel 2009; ora finalmente è pubblicata su cd. In Italia, ovviamente. Con l’ensemble Silete Venti! (di strumenti d’epoca) diretto dal Maestro Corrado Rovaris, dal 2004 direttore principale della Philadelphia Opera Company. In un doppio Cd (uscita mondiale il 29) che abbina all’inedito Concerto doppio in Sol minore per oboe (appunto Simone Toni), fagotto (Laurent Le Chenadec), archi e continuo la maestosa Opera 3, ovvero sei storici Concerti Grossi. «Composti a Londra –soggiunge ridendo il Maestro Rovaris – partendo dalla scuola italiana… Del resto nel mondo Händel è considerato musica italiana!».Maestro, cosa fa attribuire ad Händel lo spartito?Direi cantabilità, freschezza, virtuosismo tipici. E depone a favore anche averlo ritrovato nell’ex-Urss, dove dopo il saccheggio russo in Germania della seconda guerra mondiale sono finite tante partiture. E poi l’organico… Insomma, gli indizi sono tanti.Che novità porta alla lettura critica dell’artista?Colpiscono divisione in quattro tempi, tensione ritmica, virtuosismo che mette a dura prova. Non è rivoluzionario, ma spero spinga ad approfondire.Perché inciderlo con strumenti d’epoca e con l’«Opera 3»?Perché era bello proporlo nel modo più vicino possibile a come è nato. E nell’«Opera 3» l’oboe è predominante, il confronto intriga: ed è naturale.Si può dire che dal punto di vista musicologico l’Italia è all’avanguardia, nel mondo?Beh, lavorando in America vedo che là tutto dipende dagli sponsor, essendo legato all’iniziativa privata. Da noi la ricerca musicale è patrimonio genetico.Verso un pubblico che si sta rinnovando o no?Qui il discorso cambia. In America sono curiosi, si godono di più l’ascolto. Inoltre si può lavorare per ampliare i repertori e l’utenza, qui è più dura. Ma pure perché negli Stati Uniti hanno affrontato la crisi investendo. Tre-quattro anni fa nel board dell’orchestra la parola d’ordine era non abbassare il livello, anzi, rischiare. Il risultato? Ora Philadelphia ha un pubblico nuovo.