L'ex fuoriclasse olandese. Gullit: «Senza stadi e senza soldi: il vostro è un calcio scoppiato»
Avederlo col capello corto e con un accenno di pancetta, è quasi irriconoscibile. Poi basta sentirlo parlare e ti viene in mente il grande Milan, quello delle vittorie a ripetizioni di cui Ruud Gullit era uno degli artefici. Altri tempi, il Milan di oggi è l’ombra di ieri, eppure Gullit, ospite della Petronas al Gran Premio di Malesia di Formula 1 dove ha presenziato ai premi Laureus, assolve la squadra diretta da Seedorf: «Cambiare allenatore vuol dire cambiare mentalità - dice Gullit non puoi farlo a metà campionato e vedere subito i risultati. Clarence ha bisogno di tempo, sta lavorando bene e ha bisogno che tutto il gruppo di gioco lo segua. Invece la sua panchina sembra sempre in bilico. Uno studio in Inghilterra ha dimostrato che cambiare troppi tecnici non porta grandi risultati. Quindi dico a Galliani di continuare così, almeno questa è la mia idea». E sul fatto che Berlusconi possa vendere il Milan? Pensa ne valga la pena? «Intanto diciamo che con Berlusconi abbiamo avuto il Milan più vincente di tutti i tempi e i numeri sono lì a confermarlo. Il calcio di oggi è business, marketing, affari, soldi che circolano. Se qualcuno arriva coi soldi veri, credo che Berlusconi venderà il Milan. Altrimenti se lo tiene». Ha parlato di marketing, soldi e altro ancora, poco a che fare con lo sport ci pare di capire… «Guardate dove il calcio, che è lo sport più popolare del mondo, si sta sviluppando. In Oriente, nei paesi arabi, là dove ci sono i soldi per gli investimenti. Una squadra di calcio costa più di una squadra di Formula 1, ma è normale: si gioca molto e spesso, i giocatori non ce la fanno a reggere questi ritmi e ci vogliono almeno 22 giocatori per una squadra, quindi si raddoppia il costo, la gestione e tutto il resto. Per coprire queste spese ci vogliono investimenti, soldi degli sponsor e marketing e oggi, con la crisi che c’è in Italia e in Europa, i soldi non ci sono, si fatica a coprire le spese, la gente non va allo stadio e diventa tutto più complicato. Si vive solo con i diritti TV che portano quattrini alle casse di una squadra». Stadi semivuoti, troppe partite, sembra quasi di sentire Prandelli che si lamenta di avere la rosa della Nazionale fatta di giocatori spompati… «Allora, parlando dell’Italia, cominciamo col dire che gli stadi sono vecchi, obsoleti e per niente accoglienti. Quando porto mio figlio, che è piccolo, allo stadio in tribuna non c’è igiene, e nemmeno sicurezza sugli spalti. Guardate invece lo stadio della Juventus. È moderno, accogliente e ha servizi, la gente ci va volentieri. E dico altro: con uno stadio così risolvi anche il problema degli ultras. Negli stadi vecchi hanno vita facile, in uno nuovo sarebbero sotto controllo e non accadrebbero certi episodi. Per fare stadi nuovi ci vogliono soldi e il coraggio di investire. Una soluzione? Ospitare un mondiale o un europeo, ma non come negli anni 90 dove hanno riverniciato stadi vecchi che tali sono rimasti». Altro punto dolente: le difficoltà di Prandelli. «Il vostro ct ha ragione, ma la colpa è del campionato italiano. Si gioca troppo spesso, uno non può reggere i ritmi e giocare tutte le partite. Su 22 giocatori ci sono 2 fuoriclasse, e questi li mettono in campo tutte le volte. Da voi si fa molta preparazione pre-campionato, poi durante la stagione i calciatori scoppiano, perché non hanno il tempo di riposarsi e di allenarsi come si deve, e ad aprile, complice la primavera, mancano le energie. Ecco spiegato perché il flop della Nazionale dà ragione a Prandelli ». Quindi la TV croce e delizia del calcio? «In un certo senso sì, perché ti costringe a giocare troppo spesso. Un calciatore è uno sportivo che non ha tempo per recuperare. La TV fa bene agli incassi coi diritti pagati, con questi costi le squadre non esisterebbero ». Da grande campione quale lei è stato, che ne pensa di Balotelli? «Un grande giocatore, bravissimo, ma difficile da gestire. Non c’è riuscito uno come Mourinho e nemmeno uno come Mancini. Balortelli ha talento ma è giovanissimo, è una questione di carattere, non è colpa degli allenatori, su questo sono sicuro. Noi al Milan della mia epoca abbiamo rappresentato un gruppo unico perché avevamo una mentalità diversa e all’avanguardia, anche i rivali ci apprezzavano, oggi non vedo questo scatto di mentalità nel futuro ». E qui finisce la chiacchierata, ma l’ultima domanda la fa Gullit a noi: «Ho vissuto molto in Italia e anche io tifo Ferrari, ce la farà a vincere?». Ecco una domanda alla quale non sappiamo rispondere.